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24 Ottobre 2017Tribunale, Milano, sez. I civile, ordinanza 21/07/2017
Con l’ordinanza adottata in sede di reclamo il 21 luglio 2017 il Tribunale di Milano (in composizione collegiale) ha complessivamente confermato il provvedimento ex art. 700 c.p.c. reso dallo stesso Tribunale in composizione monocratica il precedente 18 aprile, con il quale era stato accolto – in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 2015 – il ricorso cautelare diretto all’accertamento del diritto di una signora ad ottenere, nell’ambito di un intervento di procreazione medicalmente assistita, l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni e il trasferimento nel suo utero solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie di cui il compagno risulti affetto.
Di conseguenza, era stato ritenuto legittimo l’ordine nei confronti di una struttura ospedaliera pubblica di eseguire, nell’ambito del suddetto intervento di procreazione medicalmente assistita, l’esame clinico e diagnostico sugli embrioni ed il trasferimento in utero della ricorrente signora, qualora da lei richiesto, solo degli embrioni sani o portatori sani delle patologie da cui compagno risulti affetto, mediante le metodologie previste in base alla scienza medica.
Si era, peraltro, disposto che, qualora la struttura sanitaria pubblica si fosse venuta a trovare nell’impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione avrebbe potuto essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie (che il giudice del reclamo ha ritenuto che possono, eventualmente, essere anche estranee al territorio – nella specie – della Regione Lombardia, previa adozione di ogni comportamento a ciò necessario, con iniziale onere a carico della stessa Regione lombarda, luogo di residenza).
Il caso
Due conviventi avevano evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano, con ricorso ex art. 700 c.p.c., una struttura pubblica ospedaliera (attrezzata per procedere alla diagnosi preimpianto in sede di procreazione medicalmente assistita, ma che si era precedentemente dichiarata indisponibile a soddisfare tale richiesta dei ricorrenti) e il Ministero della salute e, sul presupposto che il ricorrente maschio era affetto – per come confortato da apposita documentazione clinico-medica – da esostosi multiple ereditarie da qualificarsi come patologia irreversibile (peraltro trasmissibile geneticamente con modalità autosomica dominante che coinvolgeva tutto l’apparato scheletrico con un rischio quantomeno riconducibile al 50%), la quale aveva determinato, in concreto, anche una condizione di infertilità in seno alla coppia, – in funzione della realizzazione del loro diritto a diventare genitori (altrimenti non perseguibile), chiedevano:
- a) di essere autorizzati di ricorrere alle metodiche di procreazione medicalmente assistita;
b) di ottenere l’esecuzione di indagini cliniche diagnosticate sull’embrione;
c) di sottoporsi ad un protocollo di PMA adeguato ad assicurare le più alte chances di risultato utile compatibilmente con quanto stabilito nella sentenza Corte Cost. 151/09;
d) di sottoporsi ad un trattamento medico eseguito secondo tecniche e modalità compatibili con un elevato livello di tutela della salute della donna nel caso concreto;
e) di ordinare, perciò, alla resistente struttura pubblica ospedaliera di ottemperare agli obblighi previsti dalla legge 40/04 eseguendo le indagini cliniche e diagnostiche sull’embrione previste per legge ed il trasferimento in utero della donna convivente con il signore affetto dalla anzidetta grave patologia genetica solo di embrioni sani, nonché pronunciare ogni altro provvedimento ritenuto opportuno e conseguente.
Nell’opposizione delle parti resistenti, il Tribunale di Milano in composizione monocratica era pervenuto all’accoglimento dell’istanza cautelare dei due conviventi ritenendo sussistenti sia il presupposto della verosimile fondatezza della domanda nel merito che il pericolo nel ritardo ai fini della concessione dell’invocata cautela.
Per giungere a tale esito il giudice adìto aveva fatto leva sulla portata e sugli effetti immediatamente applicabili della sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 2015 (oltre che sugli arresti pregressi raggiunti dalla giurisprudenza sovranazionale).
Si ricorda che, con questa decisione, i giudici della Consulta hanno dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 32 Cost., gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili, accertate da apposite strutture pubbliche. Si è osservato al riguardo che l’irragionevolezza dell’indiscriminato divieto di accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte delle coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni, è resa evidente dalla circostanza che l’ordinamento italiano consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria, attraverso l’innegabilmente più traumatica modalità dell’interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali. Tale sistema normativo non permette, pur essendo scientificamente possibile, di far acquisire “prima” alla donna un’informazione che le potrebbe…
Per la lettura completa si rimanda alla fonte: Altalex.com
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