In linea di principio l’assicurazione sulla vita non entra nell’asse ereditario e, ai sensi dell’art. 1920 c.c. , il beneficiario acquista, per effetto della designazione, un diritto proprio nei confronti dell’assicurazione. L’atto di designazione del beneficiario è un atto unilaterale a favore di un terzo ed è un atto tra vivi, nel senso che il beneficiario non acquista il diritto al pagamento dell’indennità a titolo di legato o di quota ereditaria, ma iure proprio in base alla promessa fatta dall’assicuratore di pagare il capitale al momento del verificarsi dell’evento assicurato. Conseguentemente, l’obbligazione di pagamento gravante sull’assicuratore discende esclusivamente dal contratto di assicurazione e dalla designazione del beneficiario, mentre la morte dell’assicurato, evento assicurato, rappresenta il momento di consolidamento del diritto già acquisito inter vivo e non morti causa.
Di seguito riportiamo integralmente un’estratto della rivista.
Il caso in esame affronta l’interessante materia dell’assicurazione sulla vita a favore di terzi, involgendo, nello specifico, l’importante profilo di disciplina della revoca tacita della designazione del beneficiario. Com’è noto, infatti, essa può risultare, anche implicitamente, dal contenuto del testamento, redatto dal contraente successivamente alla designazione effettuata in sede di conclusione del contratto ed incompatibile con questa, allorché l’espressione linguistica evocativa della revoca dia luogo, contestualmente, anche ad una nuova designazione, alla stregua di quanto, ragionevolmente, può ritenersi essere avvenuto nel caso di specie. A ben vedere, la corretta ricostruzione della vicenda giuridica de qua presuppone non soltanto la puntuale applicazione delle norme codicistiche di riferimento, ma anche e soprattutto il non facile superamento di incertezze interpretative, inevitabilmente legate alle generiche formule adoperate dal de cuius, cui soccorre il sapiente impiego delle regole che presiedono all’interpretazione del testamento.
1. Il caso
La pronuncia del giudice veronese, di cui al presente commento, riveste sicuro interesse per un duplice ordine di motivi.
Innanzitutto, in via generale, per l’avvertita importanza della materia trattata, l’assicurazione sulla vita a favore del terzo, come attestato dal frequente impiego nella prassi di tale negozio, in quanto strumento che si inquadra a pieno titolo nell’ambito della generale funzione di previdenza e di risparmio e, più precisamente, di risparmio finalizzato alla previdenza. Il caso in esame costituirà, allora, preziosa occasione per allargare il campo di indagine, dalla specificità della presente fattispecie, a profili di disciplina del contratto di assicurazione sulla vita ivi strettamente connessi e di altrettanto vivo rilievo applicativo.
In secondo luogo, poiché consente di verificare in concreto le difficoltà operative in cui, sovente, può trovarsi l’interprete nella soluzione di delicate questioni giuridiche sollevate dalla materia in esame, come occorso nel caso di specie: questioni di non così facile ed immediato inquadramento, in considerazione dell’ineludibile connessione tra la corretta ricostruzione di esse e il superamento, non sempre agevole, di incertezze interpretative legate alle circostanze del caso concreto.
Di seguito la vicenda giuridica. B.A. stipula con l’istituto assicurativo, la società Popolare Vita, due polizze assicurative sulla propria vita, designando, quali beneficiari, per il caso di morte, con espressione generica, “gli eredi”. Successivamente, lo stesso contraente redige testamento pubblico, nominando quali propri eredi il nipote B.D. e la moglie F.I.; inoltre, nel procedere alla divisione del suo patrimonio, al primo attribuisce i terreni agricoli e i beni mobili registrati destinati all’attività agricola, e, alla seconda, la casa coniugale, i beni mobili registrati diversi da quelli destinati all’attività agricola, nonché “il resto del patrimonio mobiliare, compreso il danaro e gli investimenti bancari e non solo”.
A seguito del decesso di B.A., intervenuto in data antecedente alla scadenza delle due polizze assicurative, la moglie, recandosi, con copia del suddetto testamento pubblico, presso la filiale della Banca Popolare di Verona ove il de cuius aveva stipulato le suddette polizze, richiede il pagamento in suo favore dell’intero capitale assicurato. L’Istituto, di contro, ottenuta dalla reclamante la produzione di una dichiarazione sostitutiva di notorietà, che indicasse i soggetti qualificabili come eredi del contraente-testatore e rilevato che tali erano effettivamente il di lui nipote e la di lui moglie, provvede a liquidare loro, in parti uguali, il capitale assicurato, come da designazione effettuata nelle due polizze sopra richiamate.
Per tale ragione, la moglie del de cuius avanza, in giudizio, domanda di condanna della Popolare Vita alla corresponsione in suo favore anche della somma riconosciuta, in precedenza, a beneficio dell’altro erede, affermando che, con la locuzione sopra riportata, contenuta nel testamento pubblico, il contraente-testatore avesse inteso revocare la precedente designazione contrattuale, operando contestualmente, secondo una delle modalità previste dall’art. 1920 c.c., una nuova designazione.
L’istituto assicurativo assume, a sua difesa, che il capitale assicurato dovesse essere ripartito in parti uguali tra gli eredi, giusta la designazione effettuata al momento della stipula delle due polizze, a suo avviso non revocata.
Il Tribunale di Verona respinge la domanda attrice, sul presupposto, in aderenza alla difesa sopra spiegata…
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