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La Suprema Corte in tema di testamento olografo e travisamento probatorio
«La distinzione tra il riesame del fatto, non consentito, e il travisamento probatorio, in questa sede scrutinabile, è piuttosto netta: solo l’emergenza probatoria decisiva non valutata rispetto alla sua vera, documentata e compiutamente allegata consistenza o, addirittura il caso di apprezzamento di prova inesistente, implicano il vizio in parola […]».
Cass. civ., sez. VI – 2, ord., 4 novembre 2021, n. 31726
In una intricata controversia relativa alla firma collocata a circa dieci centimetri dalla conclusione del testo di un testamento olografo e al conseguente dolo captatorio, ed in conseguenza al travisamento di molteplici prove da parte della Corte d’Appello di Bologna, la quale non avrebbe preso posizione «sugli elementi probatori di massima rilevanza», la Suprema Corte di Cassazione afferma il seguente principio di diritto:
«La distinzione tra il riesame del fatto, non consentito, e il travisamento probatorio, in questa sede scrutinabile, è piuttosto netta: solo l’emergenza probatoria decisiva non valutata rispetto alla sua vera, documentata e compiutamente allegata consistenza o, addirittura il caso di apprezzamento di prova inesistente, implicano il vizio in parola; giammai può veicolarsi improprio accesso al vaglio di merito chiedendo al Giudice della legittimità, come in questo caso, una complessiva…
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Presidente Lombardo – Relatore Grasso Ritenuto che: la vicenda può riassumersi, per quel che ancora rileva d’utile, nei termini seguenti: – M.R. agì in giudizio nei confronti di G.O. e G.L. chiedendo che fosse dichiarato falso e, comunque che fosse annullato per violenza fisica o morale o dolo, il testamento olografo di G.F. redatto il 15/1/2015 e successivamente pubblicato dalle convenute, che ne erano le sorelle, stante che in precedenza, con tre distinti testamenti, il Giordani aveva disposto in favore dell’attrice, riservando alle sorelle solo un legato immobiliare; – il Tribunale rigettò la domanda principale e quella riconvenzionale, volta alla dichiarazione di falsità dei tre precedenti olografi; la Corte d’appello di Bologna, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò l’impugnazione della M. . Ritenuto che: l’insoddisfatta appellante ricorre avverso la sentenza della Corte di Bologna sulla base di unitaria, articolata censura e che le intimate resistono con controricorso; ritenuto che la M. denunzia di travisamento delle prove con violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo, in sintesi, che la Corte locale aveva travisato le acquisizioni probatorie, stante che “l’informazione probatoria utilizzata ed apprezzata nella sentenza impugnata è contraddetta da uno o più specifici elementi processuali”, in quanto: – non era stata adeguatamente apprezzata la dichiarazione di G.L. , la quale aveva ammesso che il fratello intratteneva relazione affettiva con l’attrice e che quest’ultimo aveva manifestato di voler lasciare il proprio patrimonio in favore delle “puttane”; – non si era valorizzata la circostanza che la firma risultava collocata a circa dieci centimetri dalla conclusione del testo della scheda testamentaria e ciò indirizzava verso l’esercizio di dolo captatorio; – nei primi tre testamenti il testatore era stato ausiliato da un legale, come era dato cogliere dal contenuto del testo, mentre nel quarto ciò non era avvenuto e la redazione presentava difformità linguistiche e grafologiche rispetto alle prime tre; – non si era tenuto conto del fatto che all’attrice, di cui evidentemente il G. si fidava e alla quale era affettivamente legato, aveva consegnato, qualche mese prima del decesso, la propria documentazione bancaria e di tali documenti, versati in atti, la Corte locale non aveva tenuto conto; – dopo la redazione dei primi tre testamenti il “de cuius”, dietro prescrizione medica aveva cominciato ad assumere un ansiolitico (Tavor), che interferiva con la sua lucidità mentale e la prescrizione era stata versata in atti; – al tempo della redazione del testamento in favore della M. il “de cuius” aveva avuto cura di farsi rilasciare certificazione medica attestante la sua sanità mentale; – i rapporti affettivi con la ricorrente erano intimi e affettuosi, ben diversamente quelli con le sorelle; – era stato negato l’esperimento di ctu medico-legale, di ctu ricostruttiva del patrimonio e non si era valutata la contestazione della ctu grafologica, la quale non aveva saputo trarre le debite conseguenze dalle anomalie della scheda testamentaria ultima, utili a dimsotrare la captazione; – dalla escussione dei testi indicati dalla ricorrente (i figli B.R. , B.C. e B.I. ) era rimasto provato il forte legame affettivo tra l’attrice e il G. , significativamente reso evidente dal continuo sostegno economico offerto dall’uomo alla sua compagna e dalla intenzione di nominarla erede, nel mentre dalla testimonianza avversa non era dato trarre alcunché di significativo quanto al legame dell’uomo con le sorelle; – in definitiva, attraverso una motivazione incongruente, la Corte di Bologna aveva travisato tantissime prove perché “non prende posizione sugli elementi probatori di massima rilevanza offerti da questa difesa e dall’altra sottostima e trascura gli altri, omettendo di esaminarli complessivamente”; considerato che il complesso censuratorio sopra in sintesi riportato non supera il vaglio d’ammissibilità per il concorrere di più ragioni: a) la sentenza impugnata riporta analiticamente e con puntualità le doglianze dell’appellante, critiche che oggi la ricorrente ripropone sostanzialmente identiche; prende in rassegna le osservazioni dell’appellante e le disattende, dopo aver riportato il principio giuridico del “favor testatoris”; correttamente spiega che la prova del dolo captatorio ben può essere indiziaria, ma nega la confluenza di indizi capaci di sorreggere la tesi dell’appellante; b) in presenza di doppia conforme (art. 348-ter c.p.c., u.c.) non è consentito denunziare l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, senza contare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre, del difetto assoluto di motivazione; c) non può condividersi l’asserto della ricorrente, la quale, consapevole dell’inammissibilità della richiesta di nuova valutazione dei fatti, assume che la sentenza sia viziato da travisamento della prova poiché “l’informazione probatoria utilizzata ed apprezzata nella sentenza impugnata è contraddetta da uno o più specifici atti processuali”, invero, questa Corte ha avuto modo di chiarire che solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale, di talché, si è concluso, “il giudice di legittimità non è chiamato a valutare la prova, ma ad accertare il travisamento, ossia per l’esistenza di un dato probatorio alternativi” (Sez. 1, n. 10749, 25/05/2015, Rv. 635564; conf., ex multis, Cass. nn. 1163/2020 e 3796/2020); d) correlato al principio di diritto sopra riportato, infatti, è il seguente: “la distinzione tra il riesame del fatto, non consentito, e il travisamento probatorio, in questa sede scrutinabile, è piuttosto netta: S019 l’emergenza probatoria decisiva non valutata e, per contro, solo l’emergenza probatoria decisiva distortamente valutata rispetto alla sua vera, documentata e compiutamente allegata consistenza o, addirittura il caso di apprezzamento di prova inesistente, implicano il vizio in parola; giammai può veicolarsi improprio accesso al vaglio di merito chiedendo al Giudice della legittimità, come in questo caso, una complessiva rivalutazione dell’intero quadro probatorio, peraltro evocando specificamente, sotto il profilo dell’autosufficienza, tutte le acquisizioni istruttorie”; considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”; considerato che la ricorrente va condannata a rimborsare le spese in favore delle controricorrenti, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo; che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle controricorrenti, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.