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Abbandona il figlio di neanche 2 anni: la mancanza di ricordi coscienti nel minore non esclude il risarcimento
Riprende vigore la richiesta presentata dalla madre del bambino. Necessario un nuovo processo in appello. Da valutare le conseguenze subite dal minore a seguito della condotta paterna. Illogico il richiamo alla durata della frequentazione tra padre e figlio per escludere ripercussioni sullo sviluppo psico-fisico del bambino.
Redatto da Attilio Ievolella – Giornalista
Cass. civ., sez. I, ord., 6 ottobre 2021, n. 27139
Abbandonare un figlio quando non è ancora in grado di avere ricordi coscienti non rende la condotta meno grave. Possibile quindi che il genitore fuggito venga condannato a risarcire il minore (Cassazione, ord. n. 27139/21, sez. I Civile, depositata il 6 ottobre).
A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è una donna…
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A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è una donna, Paola – nome di fantasia –, la quale chiede ben 340mila euro come risarcimento all’ex compagno, Poldo – nome di fantasia –, reo non tanto di avere lasciato lei, preferendo restare con la moglie, ma di avere abbandonato il loro figlioletto quando quest’ultimo non aveva neanche 2 anni di età. Per i giudici di merito, però, non ci sono i presupposti per soddisfare la pretesa risarcitoria avanzata da Paola. In particolare, in Appello, viene ritenuto «non provato il danno non patrimoniale che il minore avrebbe subito», poiché «pur non essendo contestato che l’uomo ha frequentato il figlio fino ai diciotto mesi – avendo poi deciso di privilegiare la sua famiglia, composta da cinque figli –, non è emersa la prova che il minore abbia sofferto un danno, a causa dell’abbandono da parte del padre, nel concreto del suo percorso evolutivo nei contesti di riferimento, ossia scuola e famiglia». A sostegno di questa visione, poi, i giudici aggiungono che «la frequentazione del padre è stata minima e per un breve periodo della vita del minore, così da non aver potuto lasciare, a livello cosciente, ricordi della figura paterna». E in questa ottica vengono anche considerati «irrilevanti, in merito alla prova del danno, i bigliettini scritti dal minore» poiché «inerenti a ricordi non spontanei ma indotti», secondo i giudici. Inevitabile l’opposizione di Paola. Consequenziale il suo ricorso in Cassazione, mirato a sostenere l’esistenza dei danni subiti dal figlio. In particolare, ella osserva che «il fatto stesso che il padre abbia di fatto abbandonato il figlio dopo pochi mesi di vita, disinteressandosene del tutto, integra la lesione dei diritti fondamentali del minore». Questa obiezione è assolutamente fondata, secondo i giudici della Cassazione, i quali censurano invece la valutazione compiuta in Appello, laddove invece si è ritenuto che «il danno non fosse stato dimostrato» sol perché «non erano emerse prove di un concreto danno allo sviluppo psico-fisico del bambino». Più in dettaglio, è illogico sostenere, come fatto in secondo grado, che vadano esclusi «l’illecito endofamiliare» addebitabile all’uomo e i conseguenti danni per il figlio, solo «per la brevità del periodo durante il quale l’uomo frequentò il minore». Al contrario, va tenuto presente che «l’abbandono del minore, protrattosi ininterrottamente dopo i diciotto mesi di vita del bambino, configura una condotta in violazione dei doveri di educazione e mantenimento del figlio», osservano i magistrati. Censurati e definiti «inappropriati» anche i riferimenti dei giudici d’Appello alla «asserita mancata incidenza della condotta paterna sul percorso evolutivo del minore». Logico, invece, ragionare in maniera opposta: «a fronte dell’abbandono del figlio, dopo appena diciotto mesi dalla nascita, emerge con indubbia evidenza la condotta lesiva» compiuta dal padre, e quindi «bisogna accertare gli effetti causati dal disinteresse del padre, e dunque dall’assoluta elisione della figura paterna, sullo sviluppo psico-fisico del bambino, nella fase evolutiva della sua vita». Necessario, quindi, un nuovo processo d’Appello per decidere sulla richiesta risarcitoria presentata da Paola. Fondamentale, in questa ottica, «valutare qualsivoglia conseguenza dannosa cagionata dalla condotta del padre nei confronti del figlio, sia circa il cosiddetto danno morale (la sofferenza ingiusta, ovvero il turbamento interiore, arrecata al minore perché privato della figura del padre), sia in ordine all’evoluzione psico-fisica del figlio, anche considerando l’intensità dell’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che il padre ha deliberatamente deciso di trascurare il bambino per dedicarsi esclusivamente ai figli nati in costanza del suo matrimonio, con evidente grave ed iniqua discriminazione», concludono dalla Cassazione. Cass. civ., sez. I, ord., 6 ottobre 2021, n. 27139 Presidente Acerno – Relatore Caiazzo Ritenuto che: Con citazione del 15.4.14 R.L. convenne innanzi al Tribunale di Torino F.R. chiedendone la condanna: al rimborso delle somme sborsate per il mantenimento del figlio M. (nato nel (…)) dalla nascita al (…), figlio la cui paternità in capo al convenuto era stata accertata con sentenza emessa nel (…) dal Tribunale per i minorenni di Torino; al rimborso delle spese mediche e scolastiche, per il periodo (OMISSIS); al risarcimento dei danni non patrimoniali nella somma di Euro 340.000,00. Con sentenza emessa il 6.11.17, il Tribunale accolse parzialmente la domanda e, per l’effetto: condannò il convenuto a corrispondere all’attrice la somma di Euro 330,00 mensile a titolo di arretrati dell’assegno di mantenimento per il figlio, in ordine al periodo antecedente alla stessa domanda esaminata, dal (…) al (…) (giorno del deposito del ricorso ex art. 269 c.c.), oltre al 50% di Euro 403,77 per le spese mediche e scolastiche sostenute nello stesso periodo; rigettò la domanda risarcitoria e la domanda del convenuto, ex art. 89 c.p.c.. La R. ha proposto appello avverso tale sentenza, chiedendone la parziale riforma circa il rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto a causa della condotta di progressivo abbandono del figlio da parte del F. e della relativa trascuratezza circa i doveri incombenti sul padre del minore; in particolare, l’appellante si doleva della mancata ammissione dell’interrogatorio formale e delle prove testimoniali dedotte tendenti, appunto, a dimostrare i danni subiti da attribuire alle condotte illegittime ascritte al convenuto, tali da configurare, nel loro insieme, un illecito endofamiliare consistito nella privazione della figura paterna sofferta dal minore, protrattasi per anni e da valutare anche alla luce della domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale proposta dallo stesso F. innanzi al Tribunale per i minorenni e da quest’ultimo accolta con decreto dell’1.8.14. Con sentenza emessa il 6.5.19, la Corte d’appello ha rigettato il gravame, osservando che: non era stato provato il danno non patrimoniale che il minore avrebbe subito dato che, pur non essendo contestato che il F. avesse frequentato il figlio fino ai diciotto mesi – avendo deciso di privilegiare la sua famiglia, composta da cinque figli – non era emersa la prova che il minore, dall’abbandono del padre, avesse sofferto un danno nel concreto del suo percorso evolutivo nei contesti di riferimento (scuola e famiglia), considerando altresì che la frequentazione del padre era stata minima e per un breve periodo della vita del minore da non aver potuto lasciare, a livello cosciente, ricordi della stessa figura paterna. Pertanto, la Corte d’Appello ha ritenuto al riguardo irrilevanti, per la prova del danno, i bigliettini scritti dal minore che erano da ritenere inerenti a ricordi non spontanei ma indotti. R.L. ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria. Il F. resiste con controricorso.
Ritenuto che: Il primo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, avendo la Corte territoriale trascurato di considerare la minore età del figlio danneggiato dal mancato riconoscimento del padre e dalla sua richiesta di farsi dichiarare decaduto dalla responsabilità genitoriale. Al riguardo, la ricorrente si duole del fatto che il giudice di secondo grado abbia negato il risarcimento dei danni causati dall’abbandono del minore, in quanto il F. aveva frequentato il figlio fino ai diciotto mesi d’età, affermando che non era stato dimostrato che quest’ultimo avesse subito un danno nel percorso evolutivo, dato che la frequentazione dl padre era avvenuta in un periodo di tempo così breve da “non aver potuto lasciare nel minore a livello cosciente ricordi della figura paterna”. Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 2,3 Cost., art. 30 Cost., commi 1 e 3, artt. 147,148,315,315bis, 316,316bis, 337 bis, 337 ter c.c., artt. 570 e 572 c.p., L. n. 176 del 1991, artt. 2,3,19,27 della Dichiarazione di N. Y., Trattato UE n. 83/403 E Carte dir. f. UE, avendo la Corte d’appello negata la sussistenza dell’illecito endofamiliare pur in presenza della chiara violazione dei diritti fondamentali del minore, come sanciti dalle richiamate norme. Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 2697,2727,2729, c.c., art. 115 c.p.c., commi 1 e 2, in quanto la ricorrente lamenta la mancata ammissione delle prove orali dedotte dirette a dimostrare il dolore e le sofferenze patite dal minore per l’abbandono del padre. I tre motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati. Invero, la ricorrente in sostanza assume che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere l’illecito endofamiliare e, dunque, il risarcimento dei danni subiti dal minore per l’abbandono del padre dopo i primi diciotto mesi di vita. In particolare, la ricorrente sostiene che il fatto stesso che il padre abbia di fatto abbandonato il figlio dopo pochi mesi di vita, disinteressandosene del tutto, integrerebbe la lesione dei diritti fondamentali del minore, garantiti dalla richiamata normativa sovranazionale e unionale, mentre la Corte di merito ha invece ritenuto che il danno non fosse stato dimostrato, nel senso che non erano emerse prove di un concreto danno allo sviluppo fisio-psichico del bambino. Tale motivazione è da ritenere del tutto erronea. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità (Cass., n. 5652/12; n. 14382/19). Va ancora osservato che il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli artt. 2 e 30 Cost. – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 c.c., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole (Cass., n. 3079/15). È stato altresì osservato, ai fini del decorso del termine di prescrizione, che l’illecito endofamiliare commesso in violazione dei doveri genitoriali verso la prole può essere sia istantaneo, ove ricorra una singola condotta inadempiente dell’agente, che si esaurisce prima o nel momento stesso della produzione del danno, sia permanente, se detta condotta perdura oltre tale momento e continua a cagionare il danno per tutto il corso della sua reiterazione, poiché il genitore si estranea completamente per un periodo significativo dalla vita dei figli (Cass., n. 11097/2020). Ora, nel caso concreto, la Corte d’appello ha escluso che la condotta ascritta al F. costituisse un illecito endofamiliare, e fosse stata produttiva di danni non patrimoniali, per la sola brevità del periodo durante il quale quest’ultimo frequentò il figlio, omettendo del tutto di considerare che l’abbandono del minore, protrattosi ininterrottamente dopo i diciotto mesi di vita del bambino, configurasse una condotta in violazione dei suddetti doveri di educazione e mantenimento del minore, peraltro formulando anche rilievi certamente inappropriati in ordine all’asserita mancata incidenza di tale condotta sul percorso evolutivo del minore. Al riguardo, non può essere invece sottaciuto che, a fronte dell’abbandono del figlio dopo appena diciotto mesi dalla nascita, emergendo con indubbia evidenza la condotta lesiva dei predetti principi costituzionali, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare quali fossero stati gli effetti causati dal disinteresse del padre, e dunque dall’assoluta elisione della figura paterna, sullo sviluppo fisiopsichico del bambino, nella fase evolutiva della sua vita. Pertanto, sotto questo profilo, la motivazione della sentenza impugnata appare anche carente, proiettandosi al di sotto del minimo costituzionalmente garantito, avendo il giudice di merito omesso di esplicitare con chiarezza le ragioni che lo inducevano ad escludere che la condotta del controricorrente non costituisse un illecito endofamiliare, chiaramente prospettato negli atti difensivi della R. . Nella fattispecie, pertanto, la Corte territoriale ha omesso di valutare qualsivoglia conseguenza dannosa cagionata dalla condotta del F. nei confronti del figlio, sia circa il cd. danno morale subiettivo (la sofferenza ingiusta, ovvero il turbamento interiore, arrecata al minore perché privato della figura del padre), sia in ordine all’evoluzione fisio-psichica del figlio, anche considerando l’intensità dell’elemento soggettivo dell’illecito, atteso che il padre ha deliberatamente deciso di trascurare il bambino per dedicarsi esclusivamente ai figli nati in costanza del suo matrimonio, con evidente grave ed iniqua discriminazione. Per quanto esposto, in accoglimento dei tre motivi, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche perché provveda al regolamento delle spese del grado di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i tre motivi di ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche in ordine al regolamento delle spese del grado di legittimità. Dispone che i dati identificativi delle parti siano oscurati nel caso di pubblicazione del provvedimento, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.