Articolo di Marco Azzarito Cannella tratto da Altalex.com
Come anticipato nel precedente articolo, l’unica tecnica di procreazione medicalmente assista ammessa nel territorio italiano è quella della fecondazione “assistita” della quale, tuttavia, il legislatore del 2004 non fornisce alcuna definizione. Ciò ha reso necessario uno sforzo definitorio, giurisprudenziale e dottrinale, non indifferente atteso che, mentre abbastanza agevole risulta definire la fecondazione omologa, non così semplice appare la definizione della fecondazione eterologa, che potrebbe essere totale o parziale, oltre che ex latere patris out matris.
Tuttavia, prima di soffermarsi sui concetti appena espressi, appare utile distinguere le possibili figure che vengono coinvolte, a vario titolo, nelle procedure di procreazione medicalmente assistita con l’avvertenza che non tutte e non sempre tali figure sono dissociate tra loro, ben potendo due o più figure coincidere nella medesima persona. In particolare, quando si opera all’interno delle PMA, cinque sono le figure che vengono in rilievo in ordine al nato: ex latere matris, la madre genetica (ossia colei che fornisce l’ovulo destinato alla fecondazione e, dunque, colei che trasferisce il proprio patrimonio genetico), la madre biologica o uterina (ossia colei che porta avanti la gestazione fino al momento del parto) ed infine la madre sociale o committente (vale a dire colei che fornisce il consenso alla PMA e che di regola coincide la madre biologica salvo nella tecnica, vietata in Italia, della maternità surrogata); ex latere patris avremo invece il padre genetico (colui che fornisce il seme destinato a fecondare l’ovulo per la formazione dell’embrione e, dunque, colui che trasferisce il proprio patrimonio genetico) ed il padre sociale o committente (colui che fornisce il consenso alla PMA).
Operata tale distinzione, può ora procedersi col fornire una prima definizione, dai caratteri altamente generali, della fecondazione assistita: essa consiste nella tecnica medica a strumento della quale si impiantano all’interno dell’utero della madre biologica, uno o più embrioni, formati dai gameti maschili e femminili della coppia richiedente (fecondazione omologa) ovvero estranei, in tutto o in parte, ad essa (fecondazione eterologa).
Modus operandi, soggetti autorizzati e limiti operativi della fecondazione assistita sono espressamente regolati dagli articoli 7, 10, 11 e 14 della legge 40 che, anche attraverso il richiamo a differenti e ulteriori fonti normative, si pongono l’obiettivo di fornire una disciplina compiuta che funga da guida maestra per gli operatori medici.
Più precisamente, mentre l’art. 7 della legge 40 si sofferma sulle c.d. “linee guida” – contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita e vincolanti per tutte le strutture autorizzate – che il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità e previo parere del Consiglio superiore di sanità, deve definire, con cadenza triennale in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica, ed emanare con proprio decreto; gli artt. 10 e 11 si preoccupano di qualificare i soggetti autorizzati all’esercizio delle tecniche di PMA prevedendo che gli interventi di procreazione medicalmente assistita possono essere realizzati solo e soltanto in strutture pubbliche o private autorizzate dalle regioni, previo accertamento dei requisiti tecnico-scientifici e organizzativi delle strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente, iscritte nell’apposito registro nazionale depositato – congiuntamente al registro degli embrioni formati e al registro dei nati a seguito dell’applicazione delle tecniche medesime – presso l’Istituto superiore di sanità.
A presidio di quanto previsto dall’art. 10 il legislatore prevede inoltre, da un lato, che chiunque a qualsiasi titolo applichi tecniche di procreazione medicalmente assistita in strutture diverse da quelle autorizzate è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 300.000 euro oltre che con la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale (se si tratta di esercente di una professione sanitaria e ferma la non punibilità, per espressa previsione di cui all’art. 12 comma 8, dell’uomo e della donna che acconsentono a tali tecniche), dall’altro,…
Per la lettura dell’articolo completo: Altalex.com
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