Civile
Usucapione
La coltivazione del terreno non basta per usucapirlo
«Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione, la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi […]»
Cass. civ., sez. II, ord., 15 febbraio 2022, n. 4931
La Corte d’Appello confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Pavia aveva rigettato la domanda di rilascio di alcuni terreni proposta dalla società S.D.B.I. nei confronti dell’azienda A.C.P. s.a.s. e del suo socio amministratore. I giudici di secondo grado, infatti, ritenevano che i suddetti terreni fossero ormai stati usucapiti dalla seconda azienda, siccome l’amministratore li aveva coltivati nel corso di un ventennio.
La S.D.B.I. ricorre in Cassazione, denunciando violazione e fals…
Cass. civ., sez. II, ord., 15 febbraio 2022, n. 4931
Presidente Di Virgilio – Relatore Giannaccari
Fatti di causa
La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 22.01.2016 confermò la sentenza del Tribunale di Pavia, che aveva rigettato la domanda di rilascio di alcuni terreni proposti dalla S. di B.I. & c nei confronti dell’A. C. P. sas e dal suo socio amministratore Bo.An. ed aveva accolto la domanda di usucapione proposta dai convenuti.
Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, la Corte distret…
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Civile usucapione 16/02/2022 La coltivazione del terreno non basta per usucapirlo Ricerca avanzata «Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione, la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi […]» La Redazione Cass. civ., sez. II, ord., 15 febbraio 2022, n. 4931 La Corte d’Appello confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Pavia aveva rigettato la domanda di rilascio di alcuni terreni proposta dalla società S.D.B.I. nei confronti dell’azienda A.C.P. s.a.s. e del suo socio amministratore. I giudici di secondo grado, infatti, ritenevano che i suddetti terreni fossero ormai stati usucapiti dalla seconda azienda, siccome l’amministratore li aveva coltivati nel corso di un ventennio. La S.D.B.I. ricorre in Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto sufficiente la mera coltivazione dei terreni, oltre che la loro gestione, ai fini della prova del possesso ad usucapionem. La doglianza è fondata. Il soggetto che desidera si accerti l’intervenuta usucapione ha l’onere di dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Egli deve quindi provare «non solo il corpus – dimostrando di essere nella disponibilità del bene – ma anche l’animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire» (Cass. n. 23849/2018). Secondo la Suprema Corte, nel caso di specie, i giudici di secondo grado non si sono adeguati ai principi di diritto in tema di onere della prova del possesso perché hanno erroneamente ritenuto che la coltivazione del terreno e l’irrigazione fossero atti idonei ad integrare il possesso ad usucapionem, senza accertarsi se essi fossero accompagnati da un atto di interversione del possesso, che non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna (Cass. n. 17376/2018). Per questi motivi, la Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, affermando il seguente principio di diritto: «ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione, la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”; l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso». Cass. civ., sez. II, ord., 15 febbraio 2022, n. 4931 Presidente Di Virgilio – Relatore Giannaccari Fatti di causa La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 22.01.2016 confermò la sentenza del Tribunale di Pavia, che aveva rigettato la domanda di rilascio di alcuni terreni proposti dalla S. di B.I. & c nei confronti dell’A. C. P. sas e dal suo socio amministratore Bo.An. ed aveva accolto la domanda di usucapione proposta dai convenuti. Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, la Corte distrettuale riconobbe che il possesso ventennale dei terreni era stato provato attraverso la deposizione di un teste, il quale aveva riferito che il Bo. , nel corso del ventennio, aveva coltivato i terreni e provveduto alla realizzazione delle opere necessarie per l’irrigazione ed il livellamento dei medesimi. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso la S. di B.I. & C. sas affidato a quattro motivi. Ha resistito con controricorso l’A. A. C. P.. In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie difensive. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte d’appello ritenuto sufficiente, ai fini della prova del possesso ad usucapionem, la mera coltivazione dei terreni e la loro gestione. Il motivo è fondato. È onere di chi chiede accertarsi l’intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Lo stesso deve, infatti, provare non solo il corpus – dimostrando di essere nella disponibilità del bene – ma anche l’animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire (Cass., sez. H, 02/10/2018, n. 23849); L’utilizzo del terreno per la coltivazione, in assenza di un atto apprensivo della proprietà, è inidoneo al possesso ad usucapionem, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta uti dominus. L’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (Cass., sez. II, 03/07/2018, n. 17376; Cass., sez. II, 29/07/2013, n. 18215). Del resto, il proprietario può possedere anche solo animo purché il possessore abbia la possibilità di ripristinare il contatto materiale con la cosa non appena lo voglia; soltanto qualora questa possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l’elemento intenzionale non è da solo sufficiente per la conservazione del possesso che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l’effettiva disponibilità della cosa (Cass., sez. II, 29/01/2016, n. 1723; Cass., sez. II, 29/07/2013, n. 18215). La corte di merito non si è adeguata ai principi di diritto affermati da questa Corte in tema di onere della prova del possesso ed ha erroneamente ritenuto che la coltivazione del terreno e la realizzazione delle opere necessarie per l’irrigazione fossero atti idonei ad integrare il possesso ad usucapionem senza accertare se fossero accompagnati da un atto di interversione del possesso. La sentenza va, pertanto, cassata, in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità e si atterrà al seguente principio di diritto: “Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione, la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché, di per sé, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”; l’interversione nel possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso”. Vanno dichiarati assorbiti gli altri motivi di ricorso. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.