
Separazione, mantenimento e capacità lavorativa dei coniugi
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Mantenimento dei figli: sufficiente una panoramica patrimonial-reddituale dei coniugi
Respinte le critiche di una donna, rimasta insoddisfatta per la decisione dei giudici di Appello di ridurre il contributo che l’ex marito dovrà versarle per il mantenimento della figlia. Inutile la sottolineatura riguardante i rispettivi redditi dei coniugi.
Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 10 settembre 2021, n. 24460
Il solo riferimento alle rispettive entrate reddituali degli ex coniugi non è sufficiente per decidere sul fronte del contributo da fornire per il mantenimento dei figli. La valutazione in ambito economico deve essere più ampia, tenendo conto delle complessive situazioni patrimoniali di moglie e marito (Cass. civ., sez. VI, ord., 10 settembre 2021, n. 24460).
Ufficializzata la separazione personale dei coniugi, i giudici assegnano la casa coniugale alla donna. Poi viene deciso l’affidamento condiviso de…
Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 10 settembre 2021, n. 24460
Presidente Valitutti – Relatore Mercolino
Fatto
Rilevato che con sentenza del 9 settembre 2016 il Tribunale di Napoli, nel pronunciare la separazione personale dei coniugi M.P. e V.L. , rigettò le reciproche domande di addebito, assegnò alla donna la casa coniugale, dispose l’affidamento condiviso dei figli G. e Gi. , con collocamento del primo presso il padre e della seconda presso la madre, disciplinò i rapporti dei minori con i genitori non collocatari, pose a carico della M. l’obb…
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Separazione Mantenimento dei figli: sufficiente una panoramica patrimonial-reddituale dei coniugi Respinte le critiche di una donna, rimasta insoddisfatta per la decisione dei giudici di Appello di ridurre il contributo che l’ex marito dovrà versarle per il mantenimento della figlia. Inutile la sottolineatura riguardante i rispettivi redditi dei coniugi. Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 10 settembre 2021, n. 24460 Il solo riferimento alle rispettive entrate reddituali degli ex coniugi non è sufficiente per decidere sul fronte del contributo da fornire per il mantenimento dei figli. La valutazione in ambito economico deve essere più ampia, tenendo conto delle complessive situazioni patrimoniali di moglie e marito (Cass. civ., sez. VI, ord., 10 settembre 2021, n. 24460). Ufficializzata la separazione personale dei coniugi, i giudici assegnano la casa coniugale alla donna. Poi viene deciso l’affidamento condiviso dei due figli, col collocamento del maschio presso il padre e della femmina presso la madre. E per quanto concerne il mantenimento dei figli, la donna deve versare all’ex marito 200 euro al mese per il figlio, e l’uomo deve versare all’ex moglie 1.100 euro al mese per la figlia. In Appello, però, viene accolta la richiesta avanzata dall’ex marito. Così i giudici riducono a 650 euro al mese la cifra da versare all’ex moglie come contributo per il mantenimento della figlia. Inoltre, vengono ripartite «in egual misura tra gli ex coniugi le spese di istruzione, quelle mediche non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale, quelle sportive e di svago, queste ultime però da concordarsi preventivamente e da documentarsi». In Cassazione a protestare è, ovviamente, l’ex moglie, che ritiene inaccettabile il ‘taglio’, deciso in Appello, che ha premiato l’ex marito. In particolare la donna sostiene che «nel rideterminare il contributo dovuto dal coniuge per il mantenimento della figlia» non si è tenuto conto della documentazione prodotta e della regola di ripartizione dell’onere della prova, avendo valutato come equivalenti «i redditi delle parti e gli oneri economici da esse sostenuti per garantirsi un’adeguata abitazione» e ciò «in contrasto con i rispettivi contratti di locazione e con le dichiarazioni dei redditi acquisite agli atti, documenti da cui emergeva che ella, titolare di un reddito inferiore alla metà di quello del coniuge, pagava un canone di locazione quasi doppio di quello corrisposto dall’uomo». Queste obiezioni non convincono però i Giudici della Cassazione, i quali confermano la decisione emessa in Appello. In sostanza, «nel disporre la riduzione dell’assegno mensile posto a carico dell’ex marito», spiegano i Giudici, si è proceduto, in secondo grado, ad «una comparazione tra le situazioni economiche dei coniugi globalmente considerate» e si è tenuto conto «sia degl’introiti risultanti dalla documentazione fiscale prodotta in giudizio che degli oneri sopportati per la locazione delle rispettive case di abitazione, oltre che di quelli relativi al soddisfacimento delle esigenze dei figli minori, nei periodi da questi ultimi trascorsi presso ciascuno dei genitori». E tale valutazione è corretta, secondo la Cassazione, poiché in linea col principio secondo cui «in tema di separazione personale dei coniugi la valutazione delle condizioni economiche delle parti, ai fini della determinazione del contributo rispettivamente dovuto per il mantenimento dei figli, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi». Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 10 settembre 2021, n. 24460 Presidente Valitutti – Relatore Mercolino Fatto Rilevato che con sentenza del 9 settembre 2016 il Tribunale di Napoli, nel pronunciare la separazione personale dei coniugi M.P. e V.L. , rigettò le reciproche domande di addebito, assegnò alla donna la casa coniugale, dispose l’affidamento condiviso dei figli G. e Gi. , con collocamento del primo presso il padre e della seconda presso la madre, disciplinò i rapporti dei minori con i genitori non collocatari, pose a carico della M. l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 200,00, da rivalutarsi annualmente, ed a carico del V. l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 1.100,00, da rivalutarsi annualmente, e ripartì tra entrambi i coniugi, nella misura rispettivamente del 30% e del 70%, le spese di istruzione, quelle mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale e quelle sportive e di svago, queste ultime da concordarsi preventivamente e da documentarsi; che il gravame interposto dal V. è stato parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Napoli, che con sentenza del 19 settembre 2017 ha rideterminato in Euro 650,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice Istat, il contributo dovuto dall’appellante per il mantenimento della figlia minore, ripartendo in egual misura tra i coniugi le spese di istruzione, quelle mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale e quelle sportive e di svago, queste ultime da concordarsi preventivamente e da documentarsi; che avverso la predetta sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo; che il V. ha resistito con controricorso. Diritto Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel rideterminare il contributo dovuto dal coniuge per il mantenimento della figlia, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della documentazione prodotta e della regola di ripartizione dell’onere della prova, avendo ritenuto equivalenti i redditi delle parti e gli oneri economici dalle stesse sostenuti per garantirsi un’adeguata abitazione, in contrasto con i rispettivi contratti di locazione e con le dichiarazioni dei redditi acquisite agli atti, da cui emergeva che essa ricorrente, titolare di un reddito inferiore alla metà di quello del coniuge, pagava un canone di locazione quasi doppio di quello corrisposto da quest’ultimo; che il motivo è inammissibile; che, nel disporre la riduzione dell’assegno mensile posto a carico del controricorrente, la Corte territoriale ha infatti proceduto ad una comparazione tra le situazioni economiche dei coniugi globalmente considerate, nell’ambito del quale ha tenuto conto sia degl’introiti risultanti dalla documentazione fiscale prodotta in giudizio che degli oneri sopportati per la locazione delle rispettive case di abitazione, oltre che di quelli relativi al soddisfacimento delle esigenze dei figli minori, nei periodi da questi ultimi trascorsi presso ciascuno dei genitori; che la predetta valutazione si pone perfettamente in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di separazione personale dei coniugi, secondo cui la valutazione delle condizioni economiche delle parti, ai fini della determinazione del contributo rispettivamente dovuto per il mantenimento dei figli, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (cfr. Cass., Sez. I, 20/01/2021, n. 975; 12/01/2017, n. 605); che, nel censurare il predetto accertamento, la ricorrente non è in grado d’individuare circostanze di fatto trascurate dalla sentenza impugnata ed idonee ad orientare diversamente la decisione, ma si limita ad insistere sull’omessa o errata valutazione della documentazione prodotta, in tal modo sollecitando un nuovo apprezzamento del materiale probatorio acquisito agli atti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547); che la predetta disposizione, riformulando il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha introdotto nell’ordinamento processuale un vizio specifico, consistente nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, emergente dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, escludendo pertanto la possibilità di far valere l’omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. I, 26/09/2018, n. 23153; Cass., Sez. III, 10/06/2016, n. 11892); che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile esclusivamente nell’ipotesi in cui, all’esito del giudizio, le conseguenze della mancata prova di un fatto allegato a sostegno di una domanda o di un’eccezione siano state poste a carico di una parte diversa da quella che era gravata dal relativo onere, mentre nel caso in cui, a seguito di un’incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia erroneamente ritenuto che la parte onerata avesse assolto il predetto onere, può ravvisarsi soltanto un erroneo apprezzamento di fatto, censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. Cass., Sez. VI, 31/08/2020, n. 18092; Cass., Sez. lav., 19/08/2020, n. 17313; Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13395); che la violazione dell’art. 115 c.p.c., è invece configurabile allorquando il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche quando il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi in tal caso di attività consentita dallo art. 116 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. VI, 23/10/2018, n. 26769; Cass., Sez. III, 10/06/2016, n. 11892); che la violazione dell’art. 116 c.p.c., è infine configurabile soltanto nel caso in cui il giudice, nel valutare una prova o comunque una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre nel caso in cui si deduca che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass., Sez. VI, 31/08/2020, n. 18092; Cass., Sez. III, 10/06/2016, n. 11892); che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.