Adozione
L’adozione mite: una soluzione a tutela dei minori
L’esclusione di una piena idoneità dei genitori, anche riscontrata dal provvedimento di decadenza dei medesimi dalla responsabilità genitoriale, non comporta che gli stessi non possano rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalle coppie affidatarie, nella vita dei minori e nell’interesse dei medesimi, e tale possibilità deve essere considerata dai giudici mediante un approfondimento della peculiare situazione dei genitori biologici che non intendono abbandonare i figli.
Redatto da Alice Di Lallo – Avvocato
Cass. civ., sez. I, ord., 15 dicembre 2021, n. 40308
Quanto sopra è stato enunciato dalla Suprema Corte nella ordinanza n. 40308 pubblicata il 15 dicembre 2021 a conferma ulteriore della presenza nel nostro ordinamento dell’adozione mite quale misura a tutela del minore e del mantenimento dei rapporti di questi con…
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Famiglia Adozione L’adozione mite: una soluzione a tutela dei minori L’esclusione di una piena idoneità dei genitori, anche riscontrata dal provvedimento di decadenza dei medesimi dalla responsabilità genitoriale, non comporta che gli stessi non possano rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalle coppie affidatarie, nella vita dei minori e nell’interesse dei medesimi, e tale possibilità deve essere considerata dai giudici mediante un approfondimento della peculiare situazione dei genitori biologici che non intendono abbandonare i figli. Redatto da Alice Di Lallo – Avvocato Cass. civ., sez. I, ord., 15 dicembre 2021, n. 40308 Quanto sopra è stato enunciato dalla Suprema Corte nella ordinanza n. 40308 pubblicata il 15 dicembre 2021 a conferma ulteriore della presenza nel nostro ordinamento dell’adozione mite quale misura a tutela del minore e del mantenimento dei rapporti di questi con la famiglia d’origine. Il caso. La Corte d’Appello di Torino disponeva l’adozione dei figli minori ai sensi dell’art. 44, lett. d), della l. n. 184/1983 “adozione in casi particolari” sulla base di una condizione di semi abbandono dei minori stessi mantenendo i rapporti tra la madre e i minori stessi, calendarizzando anche un diritto di visita in Spazio Neutro, attribuendo rilievo al legame affettivo tra essi. Il Procuratore Generale della Corte d’Appello proponeva ricorso per Cassazione lamentando che non fosse stato ravvisato uno stato di abbandono pieno e che non fosse stata pronunciata l’adozione legittimante. La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso, plaude alla valutazione della Corte d’Appello che ha applicato i principi in materia enunciati dagli ultimi orientamenti di legittimità e confermati dalle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo. L’adozione. Nel nostro ordinamento, la l. n. 184/1983 prevede da un lato l’adozione piena o legittimante che consta di due fasi, la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore e la pronuncia di adozione, e in forza della quale l’adottato acquista lo stato di figlio nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome e cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine. Dall’altro, l’adozione in casi particolari prevista alla lettera d) dell’art. 44 della legge già citata, non richiede come condizione necessaria lo stato di abbandono e lo stato di adottabilità del minore non recidendo i rapporti di quest’ultimo con la famiglia d’origine. La Corte Europea dei diritti dell’uomo. Sul punto, la Corte di Cassazione richiama i precedenti della Corte di Strasburgo. In particolare, nella pronuncia Zhou contro Italia, la Corte Edu rilevava che, nonostante l’assenza in Italia di una regolamentazione dell’adozione mite o semplice, alcuni tribunali italiani avevano pronunciato l’adozione mite nei casi in cui il minore non si trovava in stato di abbandono prevedendo il mantenimento dei rapporti e dei legami familiari. Ancora, la Corte Edu nella pronuncia Bogonosovy contro Russia stabiliva che incorre nella violazione dell’art. 8 della CEDU lo Stato che non consente il mantenimento dei rapporti tra un minore e i nonni anche in caso di adozione da parte di un’altra famiglia. La valutazione del giudice di merito. Riconoscendo l’adozione piena e legittimante come extrema ratio, il giudice deve valutare le condizioni del minore per consentire a quest’ultimo di mantenere i rapporti con la famiglia d’origine, ancorchè venga adottato da un’altra famiglia. Il giudice deve, dunque, accertare la sussistenza di uno stato di semi abbandono e l’interesse del minore a conservare il legame con i soggetti appartenenti alla famiglia d’origine, pur se mancanti nelle loro capacità di educazione e di crescita del minore. Il ruolo dei genitori decaduti. Anche se i genitori biologici non sono pienamente idonei e vengono dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale possono rivestire un ruolo importante e complementare rispetto a quello svolto dalle coppie affidatarie nella vita dei minori e nell’interesse dei medesimi. Cass. civ., sez. I, ord., 15 dicembre 2021, n. 40308 Presidente Acierno – Relatore Caradonna Rilevato che: 1. Con sentenza del 13 aprile 2021, la Corte di appello di Torino, in accoglimento parziale dell’appello proposto da S.L., ha disposto l’adozione dei minori F.J. (nato a (omissis)), S.M.S. (nato a (omissis)) e S.J.S. (nata a (omissis)), ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d), previa implicita revoca dello stato di adottabilità, ravvisando una condizione di semi abbandono dei minori stessi e statuendo, altresì, che la madre potesse incontrare i tre figli, mediante incontri di due ore ogni tre mesi organizzati in luogo neutro dai Servizi Sociali (o tramite videochiamate a causa della pandemia del coronavirus), con eventuale ampliamento e liberalizzazione degli stessi decorsi 24 mesi a discrezione dei Servizi Sociali. 2. La Corte di appello di Torino ha, inoltre, rigettato l’appello incidentale proposto da F.M.E.M.A.A., padre del minore J., ritenendo che il rapporto padre-figlio non fosse fondato su un autentico scambio di affetti e su una costante cura paterna e che il padre, che aveva visto il figlio l’ultima volta nel (omissis), era stato presente soltanto nei primi anni di vita del figlio fino al (omissis), quando il bambino aveva circa 3 anni. 3. Con riguardo all’appello proposto dalla madre, i giudici di secondo grado, dopo avere audito i genitori affidatari e la madre dei minori, tenuto conto degli esiti della relazione psicologica del (omissis) a firma della Dott.ssa So. del Servizio di Npa di (omissis), della relazione del (omissis) dell’Equipe educativa della comunità di (omissis) e del parere del P.M. del Tribunale per i minorenni di Torino del (omissis) (che aveva prospettato una situazione di semiabbandono permanente con un forte legame tra madre e figli che rendeva impensabile una sua rescissione) e delle risultanze della consulenza svolta nel giudizio di primo grado, ha affermato che: – la S. non appariva in grado di svolgere in modo adeguato il ruolo di genitore e che tali carenze educative avevano avuto importanti ricadute sullo sviluppo dei figli minori; – la prospettiva di un recupero delle capacità genitoriali da parte della S. si mostrava molto complessa specie se considerata in rapporto con i tempi di crescita dei figli minori; – la mancanza di sostegno da parte del nucleo familiare della S. comportava per la stessa, tenuto conto delle problematiche psicologiche irrecuperabili in tempi brevi e dell’assenza di fonti di sostentamento, l’impossibilità di gestire e curare adeguatamente i figli sia sotto il profilo materiale, che soprattutto sotto quello psicologico non riuscendo a coglierne appieno le esigenze e i bisogni di crescita; – tale situazione configurava uno stato di semiabbandono cui occorreva far fronte con strumenti di sostegno al fine di permettere ai minori di crescere in maniera armoniosa e serena e che non era convincente la soluzione di un affidamento eterofamiliare perché tale affidamento avrebbe potuto essere sine die a fronte di un non prevedibile recupero in tempi brevi delle capacità genitoriali della S.; – a fronte della sussistenza di uno stato di semiabbandono, vi era l’esigenza di ripristinare la frequentazione dei minori con la madre che derivava dal fatto che gli stessi (e soprattutto I. e M.S.) avevano vissuto per molti anni con la madre e che tale legame emergeva, senza ombra di dubbio, sia dalle relazioni sociali (relazione del Consorzio Intercomunale per la gestione dei servizi sociali ed assistenziali dell'(omissis), nelle persone delle assistenti sociali P. e B., del (omissis)), che dalle risultanze della consulenza tecnica di ufficio (che seppure aveva concluso per l’insussistenza di elementi di rischio evolutivo nel caso di rescissione del legame con la madre, aveva messo in evidenza, alle pagine 29 e 37, la presenza di un legame affettivo molto forte fra i due figli più grandi e la madre) e dalle dichiarazioni degli affidatari di J. e J.S. e di quelli di M.S., sentiti in data (omissis) (anche se la situazione era risultata modificata in sede di audizione degli affidatari nel giudizio di secondo grado). 4. La Corte territoriale ha, quindi, dato rilievo al legame affettivo esistente tra madre e figli, allo stretto vincolo esistente fra i fratelli, al lungo tempo trascorso insieme tra madre e figli e alla circostanza che i Servizi Sociali non avessero ritenuto di fare una segnalazione alla Procura per i minorenni sull’adottabilità dei minori dal 2014 al 2018, periodo in cui la madre era stata da loro presa in carico, e ha disposto, sul presupposto dell’insussistenza di uno stato di abbandono pieno e della revoca dello stato di adottabilità, l’adozione dei minori ai sensi della L. n. 184 del 1993, art. 44, lett. d), e la possibilità della madre di incontrare i figli (la relazione si era interrotta a partire da febbraio 2020 per effetto della sentenza di primo grado), mediante incontri di due ore ogni tre mesi organizzati in luogo neutro dai Servizi Sociali. 5. La Procura Generale della Corte d’appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata con atto affidato a tre motivi. 6. S.L. ha depositato controricorso. 7. Il Consorzio (omissis), nella persona dell’ing. M.R., nella qualità di tutore provvisorio dei minori, ha depositato controricorso. 8. F.M.E.A.A. e l’Avv. G.M.C., quale curatore speciale dei minori, non hanno svolto difese. Considerato che: 1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, perché l’attesa protratta per quattro anni prima di invocare l’intervento dei giudici da parte dei Servizi Sociali non era un elemento valido a confermare la positività del rapporto fra i minori e la madre, nonché una delle ragioni per le quali ripristinarlo, poiché la scelta dei Servizi Sociali era stata determinata dalla necessità prevista dalla legge di offrire un sostegno al nucleo familiare per consentire al minore di essere tutelato all’interno della propria famiglia d’origine; la Corte di appello avrebbe dovuto confermare, oltre che lo stato di adottabilità, anche l’interruzione dei rapporti, in considerazione dell’interesse dei minori ad acquisire la certezza della loro identità di figli della coppia che aveva i requisiti per la loro adozione e che li aveva così bene accolti ed avrebbe dovuto rigettare la proposta di mantenere i rapporti con la famiglia biologica, data la situazione abbandonica, perché contraria all’interesse dei minori anche sotto il profilo temporale e perché così decidendo aveva imposto ai genitori adottivi un “facere” che comportava di fatto una limitazione della responsabilità genitoriale; la Corte d’appello non aveva correttamente interpretato la L. n. 184 del 1983, perché la normativa che disciplinava la materia prevedeva che a dovere chiedere l’adozione della L. n. 183 del 1984, ex art. 44, era l’aspirante all’adozione ed era sempre l’aspirante all’adozione a dovere essere sentito dal giudice per esprimere anche formalmente il suo consenso, mentre non vi era agli atti alcuna istanza degli affidatari, prevista dall’art. 44 della Legge richiamata. Inoltre come confermato anche dalla L. n. 184 del 1983, art. 45, comma 1, era richiesto il consenso dell’adottante e come riscontrato dall’art. 47 stessa Legge, in caso di decesso di uno dei coniugi prima della pronuncia della sentenza si poteva procedere al compimento degli atti necessari all’adozione solo “su istanza” dell’altro coniuge. Si duole, in sostanza, la Procura ricorrente che la Corte territoriale non abbia ricondotto la fattispecie in esame, in presenza di uno stato di abbandono pieno, nell’alveo normativo dell’adozione legittimante, che prevede la recisione dei legami, piuttosto che in quello dell’adozione in casi particolari e che la Corte non abbia considerato che le ipotesi alternative all’adozione legittimante devono essere esplorate, pur in presenza di uno stato di abbandono non recuperabile, soltanto se il mantenimento del legame appare necessario per l’equilibrio psico-fisico del minore. 1.1 Il motivo è infondato. 1.2 La decisione della Corte d’appello, infatti, non contrasta con i paradigmi legali invocati dalla parte ricorrente, avendo i giudici di secondo grado, escluso (implicitamente) l’adottabilità, in funzione del preminente interesse dei minori a non recidere il legame con la madre ma hanno precisato che, attesi i profili di inadeguatezza della genitorialità riscontrati, il modello astrattamente applicabile nella sarebbe l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d). 1.3 Deve rilevarsi, di conseguenza, che l’indicazione del modello di adozione non legittimante come aderente alla fattispecie concreta non esclude la preventiva revoca della dichiarazione di adottabilità L. n. 184 del 1983, ex art. 15: L’individuazione di un modello più “mite” di adozione consegue proprio all’accertamento negativo della condizione di pieno abbandono su cui si fonda in via esclusiva la dichiarazione di adottabilità ex art. 15, ne consegue che la costituzione dello status adottivo ex art. 44, lett. d), ancorché verosimilmente facilitato dall’esistenza della coppia affidataria, sentita in giudizio, è la conseguenza e non l’oggetto esclusivo del decisum della pronuncia impugnata. Ed infatti, la verifica in concreto della possibilità che la situazione dei minori possa conformarsi ai modelli di filiazione adottiva contenuti nella L. n. 184 del 1983, art. 44, segue all’accertamento negativo della condizione di abbandono, e si fonda, nella fattispecie, sulla revoca dell’adottabilità pronunciata in primo grado. (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3643). 1.4 La Corte territoriale ha, dunque, escluso l’adottabilità dei minori, sussistendo una situazione di semiabbandono, facendo corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte, anche con il sostegno della Corte Europea dei diritti dell’uomo, e ritenendo che la definitiva ed irreversibile recisione del legame della madre con i tre figli non era coerente con il preminente interesse dei minori stessi. 1.5 Ed invero, è utile premettere che, in tema di adozione, la L. n. 184 del 1983, art. 1, attribuisce carattere prioritario all’esigenza del minore di vivere nella famiglia di origine, esigenza ribadita con forza ancor maggiore attraverso le successive modifiche apportate alla predetta norma. Ed infatti, mentre il testo originario dell’art. 1, con il quale si apriva il titolo I, “Dell’affidamento dei minori”, della citata L. n. 184 del 1983, si limitava ad affermare il diritto del minore “di essere educato nell’ambito della propria famiglia”, la riformulazione della stessa disposizione ne ha arricchito il testo, introducendo, tra i “Principi generali” (così mutata la rubrica del titolo I, della L. n. 184 del 1983, per effetto della L. n. 149/2001), anche quello relativo al “diritto di crescere” nella famiglia naturale, nonché quello, enunciato dell’art. 1, comma 2, aggiunto dalla stessa L. n. 149 del 2001, secondo il quale “mai la condizione di indigenza dei genitori naturali può portare alla dichiarazione di adottabilità del minore”, essendo affidato alle organizzazioni statali competenti, ed in particolare dei servizi sociali, in caso di difficoltà della famiglia d’origine, il compito di rimuovere le cause che possono precludere una crescita serena. Un’esigenza, quella appena evidenziata, della quale è consentito il sacrificio solo in presenza di una situazione di carenza di cure materiali e morali, da parte dei genitori e degli stretti congiunti, a prescindere dalla imputabilità a costoro di detta situazione, che sia tale da pregiudicare in modo grave e non transeunte lo sviluppo e l’equilibrio psichico e fisico del minore stesso (Cass., 14 maggio 2005, n. 10126). Il prioritario diritto del figlio di vivere con i suoi genitori e nell’ambito della propria famiglia, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità dello stesso, ai fini del perseguimento del suo superiore interesse, potendo questo diritto essere limitato solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono, la cui dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come “extrema ratio” a causa della irreversibilità incapacità dei genitori e dei parenti di allevarlo e curarlo perla loro totale inadeguatezza (Cass., 25 gennaio 2021, 1476; Cass., 30 giugno 2016, n. 13435; Cass. 24 novembre 2015, n. 23979). L’adozione del minore, alla quale la dichiarazione dello stato di abbandono è prodromica, recidendo ogni legame con la famiglia di origine, costituisce, dunque, una misura eccezionale cui è possibile ricorrere, non già per consentirgli di essere accolto in un contesto più favorevole, così sottraendolo alle cure dei suoi genitori biologici (e della sua famiglia di origine), ma solo quando si siano dimostrate impraticabili le altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento coni genitori biologici, ivi compreso l’affidamento familiare di carattere temporaneo, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio (Cass., 14 aprile 2016, n. 7391). Al riguardo, questa Corte ha già ripetutamente posto in evidenza la necessità che tale valutazione non discenda da un mero apprezzamento circa la inidoneità dei genitori e parenti del minore, cui non si accompagni l’ulteriore positivo accertamento che tale inidoneità abbia provocato, o possa provocare, danni gravi ed irreversibili alla equilibrata crescita del minore (Cass., 7 maggio 1999, n. 4568). In siffatta ottica, l’accertamento dello stato di abbandono del minore non può essere rimesso ad una valutazione astratta, compiuta ex ante, alla stregua di un giudizio prognostico, fondato su indizi privi di valenza assoluta, ed in assenza di qualsivoglia riscontro obiettivo circa la scarsa idoneità della famiglia di origine a fornire in futuro al minore le cure necessarie per il suo sano sviluppo; dovendo, invece, la valutazione di cui si tratta necessariamente basarsi su di una reale, obiettiva situazione esistente in atto, nella quale soltanto vanno individuate, e rigorosamente accertate e provate, le gravi ragioni che, impedendo al nucleo familiare di origine di garantire una normale crescita, ed adeguati riferimenti educativi, al minore, ne giustifichino la sottrazione allo stesso nucleo. 1.6 Mette conto rilevare, inoltre, che mentre nessuna norma espressa prevede, come conseguenza automatica della dichiarazione di adottabilità la recisione di qualsiasi rapporto e contatto con i genitori biologici, tale effetto si determina definitivamente con l’adozione ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 27, comma 3, che dispone che “Con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali”. E, tuttavia, come questa Corte ha affermato, “la cessazione dei rapporti e dei contatti con la famiglia di origine è una conseguenza diretta dell’affidamento preadottivo perché costituisce una modalità di attuazione di questa cruciale fase del rapporto tra adottante ed adottando, diretta a culminare nella dichiarazione di adozione. Può, pertanto, ritenersi che con la dichiarazione di adottabilità, in quanto finalizzata all’adozione legittimante (ancorché possa verificarsi in alcune ipotesi l’assenza di tale esito finale) si determina la cessazione dei rapporti con i genitori biologici, non essendo compatibile con la finalità ultima dell’istituto, la perpetuazione di una relazione che è destinata a recidersi definitivamente con l’assunzione di un diverso status finale mediante l’adozione” (Cass., 13 febbraio 2020, n. 3643). 1.7 Come già detto, anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani, riguardante il regime giuridico interno volto a disciplinare i modelli di adozione ha evidenziato la necessità di percorrere soluzioni alternative alla rottura definitiva del rapporto giuridico e di fatto tra il minore e la famiglia di origine ed ha affermato che l’art. 8 della Convenzione pone a carico dello Stato degli obblighi positivi inerenti al rispetto effettivo della vita familiare, per cui, laddove è provato che esiste un legame familiare, lo Stato deve per principio agire in modo tale da consentire a questo legame di svilupparsi, adottando le misure appropriate per riunire il genitore e il figlio fin dall’inizio della presa in carico del minore (Corte Edu, 12 agosto 2020, E.C. contro Italia) e che l’adeguatezza delle misure assunte per riunire genitori e figli deve essere valutata anche in base alla rapidità della sua attuazione, in quanto lo scorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore e il genitore che non vive con lui (Corte Edu, 22 giugno 2017, Barnea e Caldararu contro Italia). 1.8 La Corte di Strasburgo, inoltre, con specifico riferimento alla cosiddetta “adozione mite”, ha messo in evidenza che, nonostante l’assenza, nel sistema legislativo italiano, di una qualche forma di adozione mite o semplice, alcuni tribunali italiani avevano pronunciato l’adozione semplice in alcuni casi in cui non vi era abbandono, mediante un’interpretazione estensiva della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d), concludendo che costituiva un obbligo delle Autorità italiane, prima di prevedere la soluzione di una rottura del legame familiare di adoperarsi in maniera adeguate per fare rispettare il diritto della madre di vivere con il figlio, al fine di evitare di incorrere nella violazione del diritto al rispetto della vita familiare, sancito dall’art. 8 CEDU (Corte Edu, 21 gennaio 2014, Zhou contro Italia; Corte Edu, 13 ottobre 2015, S.H. contro Italia). Anche di recente, la Corte Edu ha stabilito che comporta la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non consentire ad un minore di mantenere relazioni significative con i nonni, anche se questo è stato adottato da un’altra famiglia, perché i nonni sono figure che contribuiscono indiscutibilmente allo sviluppo psico-fisico del minore, tanto da dare vita ad un legame forte ed indissolubile e che non era necessaria la sussistenza di una convivenza, poiché anche i contatti frequenti erano sufficienti a creare relazioni significative tanto da fare rientrare questo tipo di rapporto nella categoria “vita familiare” (Corte Edu, 5 marzo 2019, Bogonosovy contro Russia). 1.9 Sotto lo specifico profilo normativo, l’Ordinamento italiano conosce due forme di adozione: l’adozione legittimante, che consta di due fasi (la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore e la pronuncia di adozione) e in forza della quale l’adottato acquista lo stato di figlio nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 27, comma 1, che al comma 3, stabilisce che con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali, e che ha quale presupposto imprescindibile lo stato di adottabilità (L. n. 184 del 1983, art. 7), che può essere pronunciato quando sia stata accertata “la situazione di abbandono dei minori perché privi di assistenza morale o materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio”; l’adozione in casi particolari prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, dove diversi sono i presupposti e il procedimento e, in particolare, per quel che rileva in questa sede, la fattispecie di cui dell’art. 44, lett. d), (modello cosiddetto di “adozione mite”), che consente l’adozione “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. 1.10 Più in particolare, l'”adozione in casi particolari”, prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 44, non richiede come condizione necessaria lo stato di adottabilità del minore e non recide i rapporti di quest’ultimo con la famiglia di origine; dell’art. 44 citato, lett. d), nello specifico, rappresenta una clausola di chiusura del sistema, intesa in modo da consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, con l’unica previsione della “constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo”, che va intesa, in coerenza con lo stato dell’evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità “di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo (Cass., Sez. U., 8 maggio 2019, n. 12193). 1.11 Ciò posto, in tema di principi normativi e giurisprudenziali, nazionali ed Europei, di riferimento, questa Corte, anche di recente, è pervenuta al convincimento, che si intende ribadire, che la pluralità di modelli di adozione nel nostro ordinamento imponga ormai di valutare, di volta in volta, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, il ricorso al modello di adozione che non recida del tutto i rapporti del minore con la famiglia di origine e se l’adozione che recida ogni rapporto con la famiglia di origine, in presenza di situazioni di semiabbandono, in cui la idoneità non piena dei genitori biologici non escluda l’opportunità della loro presenza nella vita del minore, in considerazione dell’affetto e dell’interesse da essi dimostrato nei confronti del minore, possa o meno rivelarsi una scelta non adeguata al preminente interesse del minore (Cass., 25 gennaio 2021, n. 1476; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3643, richiamate anche nella sentenza impugnata). Con il conseguente corollario che il giudice, chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore e, quindi, sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell’interesse del minore a conservare il legame con i soggetti appartenenti alla famiglia di origine, pur se deficitari nelle loro capacità di educazione e di crescita del minore, proprio in considerazione del duplice presupposto che l’adozione legittimante costituisce una extrema ratio e che il nostro ordinamento conosce modelli di adozione che non presuppongono la radicale recisione dei rapporti con la famiglia d’origine e consentono la conservazione del rapporto, quali per l’appunto le forme di adozione disciplinate della L. n. 1984 del 1983, artt. 44 e segg.. 1.12 In tale contesto, va rilevato che l’esclusione di una piena idoneità dei genitori, anche riscontrata dal provvedimento di decadenza dei medesimi dalla responsabilità genitoriale, non comporta, che gli stessi non possano rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalle coppie affidatarie, nella vita dei minori e nell’interesse dei medesimi e tale possibilità deve essere considerata dai giudici di merito mediante un approfondimento della peculiare situazione concreta dei genitori biologici che non intendono abbandonare i figli, pur sentendo di non essere ancora pienamente in grado di accudirli, mediante il ricorso ai mezzi istruttori necessari, se del caso anche mediante una consulenza psicologica (Cass., 25 gennaio 2021, n. 1476, citata). 1.13 Ciò posto, ritiene il Collegio che, nella indagine posta a base della dichiarazione di adottabilità e diretta a prendere in esame il profilo riguardante il rilievo della conservazione del legame con la madre, ai fini della costruzione dell’identità dei minori, la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati e non sia incorsa nella violazione delle norme poste a sostegno della censura, avendo affermato, in conformità ai principi statuiti da questa Corte, confortata in ciò, anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, da un lato la sussistenza di uno stato di semiabbandono e dall’altro l’interesse dei minori a non recidere i legami con la madre. 2. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione sulla conclusione secondo la quale la situazione presa in esame integrava il “semiabbandono”, avendo, peraltro, in modo contraddittorio, ritenuto che la S. non avesse adeguate capacità genitoriali; la Corte aveva fondato il giudizio di semiabbandono soltanto sul desiderio della madre di mantenere il rapporto con i figli e sul desiderio dei bambini di stare con la genitrice quando vivevano con la madre o erano appena stati allontanati. In particolare, la Corte non aveva tenuto conto delle evoluzioni, in senso decisamente contrario, successive all’integrazione dei bambini nel nuovo contesto familiare, senza considerare il cambiamento avvenuto nei minori, come riferito dagli affidatari in sede di audizione ed aveva invece richiamato valutazioni dei Servizi Sociali risalenti ad un’epoca in cui l’affidamento familiare non era ancora iniziato o era appena iniziato, essendo avvenuto in data (omissis) (a fronte delle relazioni del (omissis) e del (omissis)), non considerando nemmeno la reazione dei bambini all’interruzione dei rapporti emersa dalla relazione del (omissis). Infine la sentenza impugnata era nulla perché la Corte territoriale non aveva motivato la scelta di privilegiare l’adozione della L. n. 184 del 1983, ex art. 44, e l’interesse dei minori ad avere il tipo di tutela previsto da questa norma, posto che attraverso l’adozione in casi particolari non si crea alcun regime giuridico con i parenti dei genitori adottivi e vi è un regime specifico per l’esercizio della facoltà di revoca, prevista dagli artt. 51 e segg. della citata Legge, revocabilità non ammessa nell’adozione legittimante. 2.1 Il motivo è infondato. 2.2 Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della pronuncia per difetto di un requisito in forma indispensabile, si verifica nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili. In ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., 18 settembre 2009, n. 20112). 2.3 Nel caso in esame, tuttavia, la motivazione dettata dalla Corte territoriale sulla sussistenza dello stato di semiabbandono e sull’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione in casi particolari e’, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso, integrando gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, con il richiamo, in sede espositiva, alla fattispecie concreta mediante riferimenti specifici e puntuali alla fattispecie concreta. 2.4 Specificamente, la Corte territoriale ha spiegato in modo del tutto esauriente perché la situazione in esame poteva essere qualificata di semiabbandono e perché aveva rilievo preminente l’esigenza di mantenere la continuità dei rapporti tra la madre e i figli (soprattutto i più grandi), operando la necessaria valutazione di bilanciamento dell’interesse dei minori a non recidere il legame con la madre e spiegando perché questo interesse era prevalente rispetto ad una eventuale valutazione di inidoneità della madre ad educare e crescere i figli, che anche se non in grado di accudirli pienamente, non aveva inteso, né intendeva abbandonare del tutto i minori. 3. Con il terzo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle risultanze delle relazioni dei Servizi di territorio e le conclusioni dei consulenti d’ufficio che, in modo preciso, avevano indicato la natura del legame e non soltanto la sua rescindibilità, ma anche il pregiudizio proprio in conseguenza del mantenimento dei rapporti, essendo emerso dagli atti che il legame di J. fosse stato caratterizzato da una prima fase di violenza dalla quale la madre non aveva saputo proteggerlo, ma anzi ne aveva incrementato la pressione sul figlio con il proprio comportamento e che anche con il secondogenito M.S. l’atteggiamento della madre non era stato diverso. La Corte non aveva svolto alcuna considerazione con riferimento alla circostanza che la madre non aveva saputo proteggere J. dalla violenza del padre, né gli altri figli dalla propria violenza, né aveva preso in considerazione che l’ultimo colloquio dei Servizi Sociali con i figli risaliva al (omissis), ben prima dell’inserimento dei minori nelle famiglie affidatarie, che era avvenuto in data (omissis). La Corte, infine, aveva motivato in modo contraddittorio sulle conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio, affermando che non avevano tenuto conto del legame affettivo esistente tra madre e figlia e che non avevano chiarito quali fossero le dinamiche e i messaggi patogeni che la madre avrebbe potuto trasmettere ai minori. 3.1 Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. 3.2 Il motivo è inammissibile, atteso che il denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo per il giudizio (Cass., Sez. U., sentenza 7 aprile 2014, n. 8053). Inoltre, il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148). 3.3 Il motivo e’, pure, infondato, perché, contrariamente a quanto affermato dalla parte ricorrente, i giudici di merito hanno specificato, prendendo in esame proprio il riferito rischio evolutivo che sarebbe stato significativo per le dinamiche e i messaggi patogeni che la madre in modo assolutamente non consapevole avrebbe potuto trasmettere ai minori, le ragioni di critica alle osservazioni dei consulenti tecnici di ufficio ed hanno anche tenuto conto delle più recenti modalità d’incontro e di relazione reputandole – con giudizio insindacabile in questa sede perché riguardanti valutazioni di fatto riservate al giudice di merito – recessive rispetto all’interesse, ritenuto preminente per i figli minori, di non recidere il legame con la madre. 4. In conclusione, il ricorso va rigettato. 4.1 La circostanza che la parte soccombente è un ufficio del Pubblico Ministero comporta – in conformità con il costante principio, secondo cui l’ufficio del Pubblico Ministero non può essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell’ipotesi di soccombenza, trattandosi di organo propulsore dell’attività giurisdizionale al quale sono attribuiti poteri, diversi da quelli svolti dalle parti, meramente processuali ed esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico (cfr., Cass., 7 ottobre 2011, n. 20652; Cass., 2 ottobre 2015, n. 19711; Cass., 22 giugno 2016, n. 12962) – che non v’e’ luogo a provvedere sulle spese del presente grado del giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52