Redatto da Valentina Zinzio Fonte: Altalex.com
L’affitto agrario trova la propria disciplina normativa all’interno della legge 3 maggio 1982, n. 203. Il Capo I, Titolo I (artt. 1-7) disciplina in particolare la durata dello stesso.
Nello specifico, i contratti di affitto a coltivatori diretti, singoli o associati, oppure a conduttori non coltivatori diretti hanno una durata minima di quindici anni, salvo quanto previsto dalla medesima legge per i contratti già in essere alla data di entrata in vigore del testo normativo. In mancanza di disdetta di una delle parti, il contratto di affitto s’intende tacitamente rinnovato per il periodo di quindici anni.
A tal proposito, la disdetta può essere esercitata da ciascuna parte entro la fine del quattordicesimo anno, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Va tuttavia evidenziato che la l. 203/82 è permeata da uno spirito di tutela del coltivatore/affittuario del fondo che – di fatto -, gode di una posizione privilegiata rispetto al proprietario/locatore, posto che, il legislatore, ha inteso riconoscere maggiore tutela e stabilità alle posizioni fondate sul lavoro e sull’impresa piuttosto che a quelle basate sul diritto di proprietà.
Tale posizione di vantaggio emerge in particolare dalla circostanza secondo cui, oltre alla facoltà di disdetta esercitabile da entrambe le parti nel termine sopra indicato, al solo affittuario è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto di affitto agrario in qualsiasi momento, con semplice preavviso da comunicarsi al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria.
L’affittuario pertanto non deve dimostrare di avere particolari esigenze per recedere, diversamente dal proprietario. Quest’ultimo infatti, potrà ottenere la risoluzione del contratto di affitto solo nel caso in cui l’affittuario – ai sensi dell’art. 5 comma 2 -, con la propria condotta abbia generato una situazione di grave inadempimento. In particolare, non deve aver pagato un annualità di canone, deve aver dato in subaffitto o subconcessione il fondo ovvero, vi deve essere una cattiva conduzione del fondo (inadempimento obblighi di normale e razionale coltivazione del fondo, di conservazione e manutenzione dello stesso e delle attrezzature ad esso relative).
A differenza di quanto previsto nella disciplina generale in materia di risoluzione dei contratti, ove è sufficiente che l’inadempimento sia di non scarsa importanza – avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (art. 1455 c.c.) -, per aversi risoluzione del contratto agrario, occorre che l’inadempimento sia grave.
Inoltre, differente è anche il rilievo che nella disciplina generale viene dato all’interesse della parte creditrice che, viceversa, non viene minimamente contemplato nell’ambito dell’affitto agrario. Ai sensi dell’art. 5 comma 3 l. cit., in tali ipotesi, il locatore prima di adire l’Autorità Giudiziaria ovvero di esperire l’obbligatorio tentativo di conciliazione dinanzi all’Ispettorato agrario competente per territorio, è obbligato a contestare all’affittuario l’inadempimento mediante l’invio di lettera raccomandata con…
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