Morì dopo intervento in clinica – La famiglia: no all’archiviazione
Fonte Lasicilia.it – Redatto da Gioacchino Schicchi
Non archiviate le indagini sulla morte di mia moglie. Date pace e serenità al sentimento di devastazione che ha colpito me e i miei figli.
E un appello disperato quello lanciato da Carlo Francesco Cilia, vedovo di Michela Cortina,
cinquantenne morta il 15 gennaio del 2018 dopo essersi sottoposta, nella Casa di cura “Regina Pacis” di San Cataldo, alla rimozione di un fibroma uterino durata formalmente 15
minuti che però la donna non supererà, perché 5 minuti dopo si registrerà un arresto cardiocircolatorio che le sarà fatale.
A presentare denuncia ai carabinieri fu, subito dopo il decesso, lo stesso marito.
A monte delle indagini, una relazione dei consulenti del PM, i quali accertarono che quell’infarto dipendeva da una lesione traumatica del peduncolo vascolare uterino”, per quanto fosse “con chiarezza assoluta” escludibile un’ipotesi di responsabilità da parte dei sanitari che si occuparono dell’intervento, trattandosi, “soltanto” di una complicanza dell’operazione. Non vi erano quindi elementi utili per sostenere l’accusa in giudizio dei medici, secondo la Procura. Versione fortemente contestata dai legali di parte, Angela Zambuto e Salvatore Buggea, i quali tra le altre cose contestano come all’interno della donna risulti si siano riversati circa tre litri di sangue (circa il 50% di quanto ne circoli in tutto il corpo) e questo non poteva che dipendere dalla “rottura di un vaso arterioso di grosso calibro”. La relazione dei periti della Procura, dicono i legali, “lascia seri dubbi su come si sono svolti i fatti”.
Per questo gli avvocati chiedono che non si dia luogo all’archiviazione, né nei confronti dei medici che hanno svolto l’operazione, né riguardo all’anestesista.
L’udienza davanti al Gip è prevista per il prossimo 9 ottobre.
GIOACCHINO SCHICCHI
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