RESPONSABILITÀ CIVILE E ASSICURAZIONI
Risarcimento Danni
La clausola di rivalsa, in caso di guida in stato di ebbrezza, non è vessatoria né abusiva
Redatto da Fabio Piccioni – Fonte: Diritto e Giustizia
La rivalsa in caso di guida in stato di ebbrezza integra una mera clausola delimitativa della copertura assicurativa, che precisa l’oggetto del contratto assicurativo, ma che non esclude la responsabilità dell’assicuratore.
(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 25785/19; depositata il 14 ottobre)
Lo ha stabilito la terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25785/19, depositata in cancelleria il 14 ottobre. Il caso. Una compagnia di assicurazioni avanzava domanda di rivalsa nei confronti del proprio…
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(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza n. 25785/19; depositata il 14 ottobre) Lo ha stabilito la terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25785/19, depositata in cancelleria il 14 ottobre. Il caso. Una compagnia di assicurazioni avanzava domanda di rivalsa nei confronti del proprio assicurato al fine di vedersi rifondere la somma versata a titolo di risarcimento del danno, cagionato a seguito di un incidente in occasione del quale era deceduto il terzo trasportato, stante l’inoperatività della copertura in caso di veicolo guidato in stato di ebbrezza, come da condizioni di polizza. L’assicurato contestava l’efficacia della clausola nel contratto tra professionista e consumatore, della quale lamentava di non aver potuto, comunque, conoscere e comprendere l’esistenza. Il Tribunale, in accoglimento dell’eccezione d’inefficacia della clausola di polizza, ai sensi degli artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c. (ratione temporis applicabili), in quanto vessatoria, respingeva la domanda. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’assicurato. Avverso tale sentenza l’assicurato proponeva ricorso per Cassazione, del quale il P.M. chiedeva l’accoglimento; la Compagnia resisteva con controricorso. L’ordinanza della Cassazione. Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1469-bis e seguenti – oggi artt. 33 e 34 codice del consumo (di cui al d.lgs. n. 206/2005) – stante il fatto che la sentenza, da un lato, avrebbe limitato la valutazione dell’efficacia della clausola solo sotto il profilo formale, senza effettuare un controllo sostanziale di validità alla luce della normativa consumeristica; dall’altro, non avrebbe verificato se la clausola riproduttiva della disposizione di legge fosse inderogabile. La Corte ribadisce la propria giurisprudenza secondo la quale le clausole di rivalsa contenute nel contratto di assicurazione, dovute a comportamenti imputabili all’assicurato per dolo o colpa grave, non sarebbero vessatorie e/o abusive, rispettivamente ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. e del codice del consumo. Infatti, la rivalsa in caso di guida in stato di ebbrezza integra una mera clausola delimitativa della copertura assicurativa, che precisa l’oggetto del contratto assicurativo, ma che non esclude la responsabilità dell’assicuratore; in quanto tale, non necessita di specifica approvazione per iscritto dal contraente per adesione. Tale clausola, peraltro, richiama il contenuto degli artt. 186 e 187 c.d.s., che vietano la guida in stato di alterazione alcoolica o da stupefacenti e dell’art. 1900 c.c., che esclude la copertura in caso di rischi provocati volontariamente o con colpa grave dell’assicurato; di talché, in quanto meramente riproduttiva di disposizioni di legge, si sottrae al giudizio di vessatorietà. Il ricorrente, tuttavia, osserva che la non assicurabilità del danno cagionato con dolo deriva da una previsione imperativa, mentre quella del danno cagionato da colpa grave è oggetto di una previsione suppletiva, che rimette all’autonomia negoziale l’eventuale estensibilità della garanzia con un incremento del premio assicurativo. La Sezione, dopo aver offerto un’analitica ricostruzione storica del contesto normativo e giurisprudenziale, anche a livello di Corte di Giustizia europea, osserva che la ratio della scelta di sottrarre al sindacato la clausola che riproduce una disposizione di legge è insita nella presunzione che il legislatore non detti norme sfavorevoli per il consumatore, ma anche nell’inopportunità di rinvenire una nozione di vessatorietà convenzionale che contraddica quella normativa, stante il divieto di guida in stato di ebbrezza. In conclusione, il Supremo consesso ha rigettato il ricorsoMINORI | 04 Ottobre 2019 Addio a droga, alcool e vita trasgressiva: il padre può riabbracciare il figlio di La Redazione Revocato lo stato di adottabilità del minore. Fondamentali i progressi compiuti dal genitore, che non solo ha superato le problematiche legate a uno stile di vita trasgressivo ma anche manifestato piena disponibilità a supportare il figlio. Secondario il legame creato con la famiglia affidataria. (Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 24790/19; depositata il 3 ottobre) Nuove speranze per il padre che ha messo da parte uno stile di vita trasgressivo e l’uso di alcool e droga: i progressi compiuti gli consentono di poter riavere con sé il figlio. Revocato, difatti, l’originario provvedimento con cui era stato dichiarato lo stato di adottabilità del minore. Irrilevante il fatto che il ragazzino abbia comunque creato un legame solido con la famiglia a cui era stato affidato (Cassazione, ordinanza n. 24790/19, sez. I Civile, depositata il 3 ottobre). Stile di vita. Svolta decisiva nella delicata vicenda col secondo processo d’appello: in quel contesto, difatti, viene revocata la dichiarazione di adottabilità del minore, riconoscendo i passi avanti compiuti dal padre. In particolare, i giudici osservano che «l’uomo è munito di adeguata capacità genitoriale, avendo manifestato disponibilità a supportare il figlio» e avendo «superato le criticità pregresse legate allo stile di vita trasgressivo e all’uso di stupefacenti e all’abuso di alcool». Questo quadro non può neanche essere messo in discussione dal dato rappresentato dalla «stabilizzazione del minore presso la famiglia collocataria» e dai «possibili pregiudizi col rientro nella famiglia d’origine», precisano i giudici. Progressi. Inutile si rivela il ricorso proposto in Cassazione dalla tutrice del minore. Viene ribadito, difatti, il diritto del padre a riavere con sé il figlio per occuparsene degnamente e dargli affetto e sostegno (morale e materiale). Per quanto concerne il – presunto – conflitto tra «il diritto dell’uomo ad esercitare la propria capacità genitoriale» e «il diritto del figlio alla continuità affettiva», i giudici ribattono che ciò che conta è la constatazione che l’uomo ha superato le vecchie problematiche, connesse «ad uno stile di vita trasgressivo, improntato all’abuso di alcool e stupefacenti». A certificare questi progressi non solo «l’esito negativo dei controlli» cui si è sottoposto l’uomo, ma anche «il suo atteggiamento positivo e interessato manifestato dopo il collocamento presso la prima famiglia d’appoggio». Fondato, quindi, «il giudizio prognostico favorevole in ordine alla recuperata capacità genitoriale dell’uomo», e consequenziale la revoca dello stato di adottabilità del figlio. Impossibile perciò parlare di «violazione del diritto del minore alla continuità affettiva» con la coppia affidataria, anche se, viene osservato, vi è comunque «la necessità di adottare le misure idonee a garantirne la gradualità del reinserimento nella famiglia d’origine».