Compenso avvocati
Compenso di un avvocato per il patrocinio svolto in favore del cliente in una causa di affidamento esclusivo
L’art. 5, comma 4, d.m. n. 55/2015 prevede che «qualora il valore effettivo della controversia non sia determinabile mediante l’applicazione dei criteri enunciati dai commi precedenti, la causa deve ritenersi di valore indeterminabile. Tali controversie si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000 e non superiore a euro 260.000 tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia […]».
Cass. civ., sez. II, ord., 31 dicembre 2021, n. 42128
Un avvocato adiva il Tribunale di Verbania, chiedendo la liquidazione del compenso per il patrocinio svolto in favore del suo cliente in una causa di affidamento….
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Professione compenso avvocati Compenso di un avvocato per il patrocinio svolto in favore del cliente in una causa di affidamento esclusivo L’art. 5, comma 4, d.m. n. 55/2015 prevede che «qualora il valore effettivo della controversia non sia determinabile mediante l’applicazione dei criteri enunciati dai commi precedenti, la causa deve ritenersi di valore indeterminabile. Tali controversie si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000 e non superiore a euro 260.000 tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia […]».Cass. civ., sez. II, ord., 31 dicembre 2021, n. 42128 Un avvocato adiva il Tribunale di Verbania, chiedendo la liquidazione del compenso per il patrocinio svolto in favore del suo cliente in una causa di affidamento esclusivo e collocamento della figlia minore. Il giudice di primo grado riconosceva un compenso complessivo pari a 9744,35 euro ed un rimborso di 1693 euro a titolo di spese vive. Il professionista ricorre in Cassazione sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto applicare lo scaglione per le cause di valore fino a 520.000 euro, essendo la causa di affidamento molto complessa. La doglianza è parzialmente fondata. L’art. 5, comma 4, d.m. n. 55/2015 prevede che «qualora il valore effettivo della controversia non sia determinabile mediante l’applicazione dei criteri enunciati dai commi precedenti, la causa deve ritenersi di valore indeterminabile. Tali controversie si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000 e non superiore a euro 260.000 tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia. Solo qualora il giudizio appaia di particolare importanza per lo specifico oggetto, il numero e la complessità delle questioni giuridiche trattate e la rilevanza degli effetti ovvero dei risultati utili, anche di carattere non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a euro 520.000. La scelta dello scaglione più adeguato tra quelli indicati nella tabella dei parametri forensi, dipende – quindi – dalle particolari connotazioni della controversia (importanza della lite, complessità delle questioni esaminate, risultati ottenuti, interessi coinvolti) che compete al giudice accertare, apprezzando – a tali effetti – la loro effettiva rilevanza nei singoli casi». Nel caso di specie, il Tribunale avrebbe erroneamente considerato corretto l’utilizzo dello scaglione per le cause di valore indeterminato alto (52.000 – 260.000 euro). L’avvocato, inoltre, sostiene che il compenso andasse calcolato in base alla tabella n. 7 dei procedimenti di volontaria giurisdizione. Anche in questo caso la doglianza è fondata. Secondo la Corte di Cassazione, «i giudizi di affidamento dei minori e di regolazione del diritto di visita tra coniugi separati o divorziati, sebbene sottoposto alle regole dei procedimenti in camera di consiglio e destinati ad esser definiti con pronunce inidonee al giudicato, hanno natura contenziosa, essendo volti a comporre il conflitto tra i genitori circa l’esercizio della responsabilità genitoriale, trovandosi le parti su posizioni contrapposte» (Cass. n. 24265/2004, n. 2348/2005, n. 18187/2006, n. 23032/2009, n. 23114/2009, n. 6132/2015, n. 18194/2015, n. 3292/2017, n. 28998/2018). Ne consegue che il compenso richiesto doveva essere liquidato in applicazione della tabella per i giudizi ordinari d’appello. Per tutti questi motivi il Collegio accoglie il ricorso. Cass. civ., sez. II, ord., 31 dicembre 2021, n. 42128 Presidente Di Virgilio – Relatore Fortunato Ragioni in fatto e in diritto della decisione 1. L’avv. G.R. ha adito il tribunale di Verbania, chiedendo la liquidazione del compenso per il patrocinio svolto in favore di B.V. in una causa di affidamento esclusivo e collocamento della figlia minore, oltre che nel successivo giudizio di reclamo, sostenendo inoltre di aver: a) formulato richiesta di informazioni alla Stazione dei Carabinieri di Stresa il 13.5.2014 e alla Procura della Repubblica di Verbania in merito ad un incendio divampato il (omissis) presso la casa coniugale; b) proposto denuncia querela nei confronti della moglie del resistente, M.M. , per incendio doloso, maltrattamenti ai danni della figlia minore e violazione degli obblighi di assistenza familiare; c) predisposto una bozza di integrazione della denuncia-querela e altra denuncia per ulteriori ipotesi di reato. Il tribunale ha liquidato un compenso complessivo di Euro 9744,35, condannando il convenuto al pagamento dell’importo finale di Euro 744,35, al netto degli acconti già corrisposti, assumendo che: a) per la causa di affidamento della minore svoltasi dinanzi al tribunale di Verbania – di valore indeterminato – competevano Euro 1585,00, in applicazione dello scaglione compreso tra Euro 52.000,00 ed Euro 260.000,00 e della tabella n. 7 allegata al D.M. n. 55 del 2014 relativa ai procedimenti di volontaria giurisdizione, con riduzione del 50%, dato che la causa era stata definita con declaratoria di inammissibilità della domanda di affido; b) per la causa di reclamo svoltasi dinanzi alla Corte di appello, competevano Euro 2536,00, in applicazione delle tabella per i procedimenti di volontaria giurisdizione, con riduzione del 20%, essendo l’attività consistita nella sola redazione del ricorso introduttivo; c) per l’assistenza nel procedimento penale n. 1730/14/44 incardinato presso la Procura della Repubblica di Verbania competeva un compenso di Euro 1440,00 in applicazione dei valori tabellari medi, avendo il ricorrente predisposto solo la denuncia querela; d) per l’assistenza nel procedimento penale riguardante l’incolpazione per violazione di domicilio, spettava l’importo di Euro 1440,00 per la fase introduttiva e per quella di studio. Il tribunale ha inoltre riconosciuto il rimborso di Euro 1693,00 a titolo di spese vive, respingendo la richiesta di compenso per le attività di traduzione, estranea all’oggetto del procedimento regolato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14. Per la cassazione dell’ordinanza l’avv. G.R. propone ricorso in cinque motivi, illustrati con memoria. B.V. ha depositato controricorso. 2. Il primo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il tribunale avrebbe dovuto applicare lo scaglione per le cause di valore fino ad Euro 520.000,00, avendo affermato che la causa di affidamento della figlia minore presentava profili di particolare complessità, non giustificandosi – inoltre – la riduzione prevista dall’art. 4, comma 9 citato decreto, dovendo – a tal fine necessariamente ricorrere, oltre all’inammissibilità della domanda, anche gravi ed eccezionali ragioni illustrate in motivazione. Il motivo è parzialmente fondato. 2.1 L’art. 5, comma 4, cit. prevede che, qualora il valore effettivo della controversia non sia determinabile mediante l’applicazione dei criteri enunciati dai commi precedenti, la causa deve ritenersi di valore indeterminabile. Tali controversie si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia. Solo qualora il giudizio appaia di particolare importanza per lo specifico oggetto, il numero e la complessità delle questioni giuridiche trattate e la rilevanza degli effetti ovvero dei risultati utili, anche di carattere non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a Euro 520.000,00. La scelta dello scaglione più adeguato tra quelli elencati nella tabella dei parametri forensi, dipende – quindi – dalle particolari connotazioni della controversia (importanza della lite, complessità delle questioni esaminate, risultati ottenuti, interessi coinvolti) che compete al giudice accertare, apprezzando – a tali effetti – la loro effettiva rilevanza nei singoli casi. Nello specifico, non si rinviene nella pronuncia impugnata alcun apprezzamento della complessità della causa che – secondo il tribunale – giustificasse l’applicazione dello scaglione massimo: il giudice di merito, pur avendo posto in rilievo la rilevanza degli interessi coinvolti (riguardanti il rapporto di filiazione) e i profili di internazionalità implicati, ha considerato corretto l’utilizzo dello scaglione per le cause di valore indeterminato alto (Euro 52.000,00-Euro 260.000,00). 2.2. Quanto alla riduzione al 50% del compenso tabellare, l’art. 4, comma 9 citato decreto, dispone che “nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell’art. 96 c.p.c. ovvero, comunque, nei casi d’inammissibilità, improponibilità o improcedibilità della domanda, il compenso dovuto all’avvocato del soccombente è ridotto, ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione. Alla luce della inequivoca formulazione della norma, deve ritenersi che la riduzione non si giustifichi in base alla sola dichiarazione di inammissibilità (improcedibilità o improponibilità) della domanda, dovendo ricorrere ulteriori ragioni, caratterizzate da gravità ed eccezionalità, di cui il giudice è tenuto a dar conto in motivazione. Sussiste quindi l’errore denunciato, avendo il tribunale applicato la riduzione del 50% nella causa di affido svoltasi in primo grado in base all’esito della lite, senza rilevare e senza dar conto in motivazione della sussistenza delle specifiche ragioni che legittimassero la decurtazione delle spettanze professionali. 3. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, per la causa svoltasi dinanzi alla Corte d’appello di Torino, il compenso non andava calcolato in base alla tabella n. 7 per i procedimenti di volontaria giurisdizione, ma alla tabella n. 12 relative alle cause ordinarie e che per tale attività competeva l’intero importo tabellare, senza alcuna riduzione. Il motivo è fondato. I giudizi di affidamento dei minori e di regolazione del diritto di visita tra coniugi separati o divorziati, sebbene sottoposti alle regole dei procedimenti in camera di consiglio e destinati ad esser definiti con pronunce inidonee al giudicato, hanno natura contenziosa, essendo volti a comporre il conflitto tra i genitori circa l’esercizio della responsabilità genitoriale, trovandosi le parti su posizioni contrapposte (Cass. 24265/2004; Cass. 2348/2005; Cass. 18187/2006; Cass. 23032/2009 che estende la natura contenziosa anche alle controversie riguardanti l’affido dei figli nati fuori dal matrimonio; in tal senso anche Cass. 23411/2009, Cass. 6132/2015, Cass. 18194/2015, Cass. 3292/2017, Cass. 28998/2018). La tabella della liquidazione dei compensi per i procedimenti di volontaria giurisdizione trova invece applicazione nei giudizi dinanzi alla Corte di appello in cui sia assente il carattere contenzioso e ciò anche nella vigenza del D.M. n. 55 del 2014 (Cass. 23187/2016; Cass. 25352/2008). Attesa – quindi – la natura del procedimento incardinato con il patrocinio del ricorrente dinanzi alla Corte d’appello, il compenso doveva essere liquidato in applicazione della tabella per i giudizi ordinari di appello. Resta assorbita la censura riguardante la legittimità della decurtazione del 20% operata dal tribunale ai sensi dell’art. 4, comma 1 dovendo il giudice del rinvio procedere ad una nuova liquidazione dei compensi, attenendosi ai principi enunciati. 4. Il terzo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 12 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che, per le attività svolte in sede penale, il tribunale avrebbe dovuto riconoscere i compensi massimi e non quelli medi, data la particolare rilevanza e complessità dell’attività svolta. Il motivo è inammissibile. L’apprezzamento della complessità della causa e la scelta tra l’applicazione dei valori massimi, minimi o medi è rimessa al giudice di merito ed è insindacabile in cassazione ove, come nella specie, correttamente motivata. Il tribunale ha invero posto in rilievo che il difensore aveva redatto esclusivamente la denuncia querela, senza rilevare particolari aspetti della causa che giustificassero l’applicazione dei compensi massimi. Le contrarie deduzioni del ricorrente appaiono puramente assertive, non essendo evidenziati neppure in questa sede particolari aspetti delle attività difensive che legittimassero una soluzione diversa da quella accolta. 5. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente, che aveva proceduto personalmente alla traduzione degli atti processuali affinché fossero trasmessi all’estero, si duole che il tribunale, dopo aver ordinato il mutamento del rito da ordinario a sommario D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14 abbia illegittimamente negato il compenso di Euro 7038,60, ritenendo che tale credito non potesse trovare ingresso e che il processo fosse deputato alla sola disamina delle controversie riguardanti onorari, diritti e spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali. Il motivo è fondato. La domanda di pagamento dei compensi, sia per il patrocinio svolto in sede penale e civile che per le attività di traduzione, era stata originariamente proposta con citazione, in applicazione del rito ordinario di cognizione. Il tribunale, disposto il mutamento del rito, ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta di pagamento del corrispettivo per la traduzione degli atti – svolta personalmente dal ricorrente reputandola estranea all’oggetto del procedimento D.Lgs. n. 150 del 2001, ex art. 14. Va obiettato che, anche a voler ritenere che il compenso di traduzione non costituisse una spesa strumentale all’esercizio della difesa in giudizio ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 28 e che quindi la relativa domanda non fosse sottoposta alla disciplina processuale del citato art. 14, occorreva considerare che la richiesta di pagamento era stata originariamente introdotta con citazione e, quindi, secondo la disciplina del giudizio ordinario di cognizione. Come ammette anche il controricorrente (cfr. controricorso, pag. 14), era stato – difatti – il tribunale, accogliendo un’eccezione sollevata dall’assistito, a disporre il mutamento del rito, sul presupposto che l’intera causa ricadesse nell’ambito applicativo del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14. Il successivo ripensamento del tribunale riguardo alla possibilità di trattare e definire secondo la disciplina processuale speciale del D.Lgs. n. 150 del 2011 anche la richiesta del compenso per la traduzione non poteva risolversi in un pregiudizio per il ricorrente, al quale non poteva addebitarsi l’errore di aver prescelto il rito sommario per le pretese non riconducibili all’ambito applicativo del già menzionato art. 14. La domanda di pagamento di quanto spettante per le attività di traduzione era pur sempre suscettibile di trattazione separata dinanzi al medesimo giudice adito (specie in assenza di un vincolo di connessione qualificata ex art. 40 c.p.c., comma 3; si veda inoltre, sempre con riferimento al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14 all’ammissibilità della separazione delle cause in caso di domanda riconvenzionale del cliente non suscettibile di istruttoria sommaria ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c., comma 4: cfr. Cass. s.u. 4485/2018, par. 13, pag. 38), con esclusione della possibilità di dichiarare l’inammissibilità dell’azione non sottoposta alla disciplina speciale (per l’analoga soluzione, sia pure nella diversa ipotesi di originaria proposizione, con rito speciale, di domande non rientranti nell’ambito applicativo della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e ss. nel regime – anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2011: Cass. 3637/2004; Cass. 4419/2001). 6. Il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 1194 e 2234 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che i pagamenti effettuati dal cliente dovevano essere imputati prima alle spese e agli interessi, per cui il fondo spese di Euro 9000,00 versato dall’assistito non poteva essere portato in detrazione dal saldo del compenso liquidato in giudizio. Il motivo è assorbito, dovendo il giudice del rinvio rideterminare il compenso complessivamente spettante al difensore e procedere alla detrazione delle somme già corrisposte dal cliente, essendo venuta meno l’originaria quantificazione. Sono accolti il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, è respinto il terzo ed è dichiarato assorbito il quinto motivo. L’ordinanza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa al tribunale di Verbania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quinto, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al tribunale di Verbania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.