Redatto da Marco Azzarito Cannella Fonte: Altalex
Per fecondazione omologa si intende comunemente la tecnica di procreazione medicalmente assistita a strumento della quale si impiantano, nell’utero della gestante, uno o più embrioni formati esclusivamente con gameti appartenenti alla coppia richiedente. Caratteristica di tale tipo di fecondazione artificiale è, quindi, l’omogeneità dei soggetti che vi partecipano atteso che, ex latere matris, la madre biologica (o gestante) sarà sempre coincidente sia con la madre genetica (essendo ella stessa a fornire l’ovulo destinato alla formazione dell’embrione da impiantare nel proprio utero) sia con la madre sociale (essendo sempre la medesima donna a fornire il consenso per l’accesso alla tecnica di procreazione medicalmente assistita e per l’impianto dell’embrione formato anche grazie al proprio ovulo) e, ex latere patris, il padre genetico (che fornisce il proprio seme per la formazione dell’embrione da impiantare nell’utero della propria partner) coinciderà sempre con il padre sociale (ossia con quello che fornisce il consenso per l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita).
Nessun particolare problema dunque, si pone intorno alla genitorialità e allo status filiationis rilevato che, in buona sostanza, la fecondazione omologa funge da vero e proprio succedaneo dell’atto sessuale al fine di permettere la generazione di un essere umano anche a chi ne sarebbe naturalmente preclusa la possibilità. Ciò, tuttavia, non significa che tale tecnica sia accessibile a tutti e indistintamente o che lo status giuridico del nato non trovi espressa disciplina, anzi.
La legge 40 è infatti rigida nel descrivere, agli artt. 4 e 5, i requisiti oggettivi e soggettivi per accedere alla fecondazione omologa e, agli artt. 8 e 9, lo status giuridico del nato.
In particolare, l’art. 5 della L.40/2004 si preoccupa di stabilire i requisiti soggettivi necessari per accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sancendo espressamente che tali tecniche sono riservate alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. A norma del successivo art. 12, per l’accertamento di tali requisiti il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti (che in caso di dichiarazioni mendaci sono soggetti alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445) rimanendo amministrativamente, oltre che disciplinarmente, punita la condotta di chi, a qualsiasi titolo, applichi tecniche di procreazione medicalmente assistita in assenza di tali requisiti (ma non quella dell’uomo e della donna ai quali tali tecniche sono applicate).
Il legislatore del 2004 prevedeva poi, all’art. 4, che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita fosse consentito soltanto nel caso di sterilità o di infertilità inspiegata o accertata, documentata e certificata da atto medico, e che, in ogni caso, la loro applicazione fosse ancorata al principio della gradualità nonché a quello del consenso informato, momento che anticipa la formazione della responsabilità genitoriale.
È ben noto, infatti, che le tecniche di procreazione medicalmente assistita, per il loro grado di invasività tecnico e psicologico, necessitano di una informazione chiara, dettagliata e completa sui metodi, sui problemi bioetici, sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro, oltre che sui costi economici dell’intera procedura (qualora essa sia posta in essere da strutture private autorizzate), che deve essere fornita, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle stesse, dall’operatore medico (il quale è tenuto peraltro a prospettare alla coppia la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento, ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita), al fine di consentire, a coloro che vi accendono, la formazione di un consenso pieno e consapevole che deve essere espresso per iscritto e congiuntamente al medico responsabile della struttura e può essere sempre revocato fino al momento della fecondazione dell’ovulo, fermo che, tra la manifestazione della volontà di accedere alle tecniche di PMA e l’applicazione della tecnica deve comunque intercorrere un termine non inferiore a sette giorni.
Il momento del consenso, dunque, assume nell’ottica del legislatore del 2004, un’importanza fondamentale tanto che, all’art. 12, comma 4, questo stesso si preoccupa di reprimere, a strumento di sanzioni amministrative e disciplinari, la condotta di chi applica tecniche di procreazione medicalmente assistita senza avere raccolto il ridetto consenso secondo le modalità indicate dall’ articolo 6, ferma la non punibilità, per espressa previsione di cui all’art. 12 comma 8, dell’uomo e della donna ai quali tali tecniche sono applicate.
Si deve ricordare inoltre, sempre in tema di consenso, che il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario fornendo alla coppia motivazione scritta.
Tale disposizione si giustifica nell’ambito della più ampia libertà di obiezione di coscienza prevista esplicitamente dall’art. 16, L.40/2004 a norma del…
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