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Redatto da Sara Garreffa Fonte: Altalex.com
Il caso Weinstein, approdato nelle ultime settimane nel cinema nostrano, fa affiorare sulle pagine dei giornali temi senza dubbio delicati, quali gli abusi e le violenze sessuali, le relative problematiche in ordine alla procedibilità di tali reati, nonché il diritto all’onore e la tutela della reputazione dei soggetti caduti nell’occhio del ciclone mediatico.
Sono svariati gli slogan usati dalla platea degli opinionisti in merito ai fatti narrati che ritraggono soggetti in una posizione di potere, della quale abusano al fine di costringere o indurre un altro soggetto – a quel potere sottoposto – a compiere o subire atti sessuali.
Tra questi, un motto diffuso è quello del “Si può dire no!”.
Ebbene, si rende opportuno chiarire quali siano le sfumature del “no”, e dunque precisare la portata del consenso nell’ambito degli atti sessuali, che assume valore di causa di esclusione della tipicità del reato di violenza.
Il reato di violenza sessuale presuppone il dissenso del soggetto passivo, sicché il fatto per costituire reato deve avvenire contro la volontà di quest’ultimo.
L’aspetto necessario su cui è opportuno fare chiarezza è che il consenso della vittima non può considerarsi sussistente ove questo sia viziato dall’inganno, dalla prospettazione di un male ingiusto o dalla soggezione psicologica subìta per la posizione di supremazia del soggetto attivo (Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2016, n. 33049).
La fattispecie criminosa, invero, contempla quali modalità di costrizione della vittima non solo la violenza fisica, bensì anche la minaccia o l’abuso di autorità, quest’ultimo dalla giurisprudenza riferito non solo alle posizioni autoritative di tipo pubblicistico, ma anche ad ogni potere di supremazia di natura privata.
Il bene giuridico tutelato dall’art. 609 bis è, difatti, la libertà sessuale, quale specificazione della libertà di autodeterminazione, che certamente potrà considerarsi offesa ove il soggetto passivo sia costretto a compiere certi atti, onde evitare…
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