Asimmetria di potere del terapeuta e violenza sessuale
L’imputato, psicologo e terapeuta della vittima, “utilizzando subdolamente la sua posizione di psicoterapeuta (…) ed approfittando di tale condizione per accedere alla sfera intima della persona offesa” nonché “della condizione di inferiorità psichica risultante dalla stessa richiesta all’accesso alle cure dello psicoterapeuta e dal rapporto di soggezione tra paziente e terapeuta”, ha posto in essere una condotta tale da indurre la stessa “a soggiacere rispetto al rapporto sessuale, minandone la capacità di reazione e di opposizione”, in questo modo rimanendo integrato, a cagione della indubbia violazione della libertà sessuale della donna, il reato di cui all’art. 609 bis. In particolare la minore capacità della vittima di esprimere efficacemente il proprio dissenso fosse stata generata dalla fragilità psicologica che l’aveva…
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Asimmetria di potere del terapeuta e violenza sessuale – L’imputato, psicologo e terapeuta della vittima, “utilizzando subdolamente la sua posizione di psicoterapeuta (…) ed approfittando di tale condizione per accedere alla sfera intima della persona offesa” nonché “della condizione di inferiorità psichica risultante dalla stessa richiesta all’accesso alle cure dello psicoterapeuta e dal rapporto di soggezione tra paziente e terapeuta”, ha posto in essere una condotta tale da indurre la stessa “a soggiacere rispetto al rapporto sessuale, minandone la capacità di reazione e di opposizione”, in questo modo rimanendo integrato, a cagione della indubbia violazione della libertà sessuale della donna, il reato di cui all’art. 609 bis. In particolare la minore capacità della vittima di esprimere efficacemente il proprio dissenso fosse stata generata dalla fragilità psicologica che l’aveva indotta a richiedere il sostegno del terapeuta. Per l’effetto dunque, l’intervento punitivo consegue non già da un automatismo derivante dalla malattia mentale della vittima, quanto dal fatto che la persona offesa, la quale non deve versare necessariamente in uno stato di conclamata psicopatologia ma anche in una semplice condizione di menomazione dovuta sia a fenomeni patologici, permanenti o passeggeri, di carattere organico e funzionale, sia a traumi e fattori ambientali tali da incidere negativamente sulla formazione della personalità dell’individuo, venga indotta all’atto sessuale mediante abuso della predetta condizione di inferiorità, atteso che in tale evenienza il consenso, pur apparentemente prestato in un contesto di assoluta libertà, è in realtà viziato da una assente o diminuita capacità di resistenza agli stimoli esterni. In particolare, l’induzione si realizza quando, con un’opera di persuasione spesso sottile o subdola, l’agente spinge o convince il partner a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto; mentre l’abuso si verifica, a sua volta, quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona, la quale, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui. In sintesi, la norma in esame punisce come delitto il rapporto sessuale caratterizzato da un “qualificato differenziale di potere” conseguente alla strumentalizzazione della condizione di inferiorità del soggetto più debole.
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