Penale
Orientamenti della giurisprudenza
L’efficacia probatoria delle chat WhatsApp nel processo penale: la recente giurisprudenza
La recente evoluzione della tecnologia ha introdotto nuovi strumenti di comunicazione come ad esempio le conversazioni in forma digitale attuate attraverso l’utilizzo di applicazioni istallate su smathphone e computer, nel cui ambito sta spopolando la nota a tutti Whatsapp. Di qui l’esigenza di inquadrare l’ambito giuridico di quello che si può definire come nuovo fenomeno comunicativo soprattutto in termini di utilizzabilità processuale.
Intanto è bene ricordare che WhatsApp Messenger è un’applicazione multi-piattaforma, creata nel 2009, che consente l’invio istantaneo di messaggi di testo, foto, video, documenti e registrazioni vocali ad altri utenti via Internet, utilizzando come identificativo il proprio numero di telefono.
L’autenticazione degli utenti su WhatsApp avviene, mediante il loro numero di telefono a cui è associata una password generata automaticamente dal sistema.
Dal 6 aprile 2016 il gestore di WhatsApp, per garantire la tutela della privacy degli utenti, ha attivato di default un sistema denominato “crittografia end-to-end”. Con questo sistema i messaggi sono gestiti dal server di WhatsApp…
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Penale Orientamenti della giurisprudenza L’efficacia probatoria delle chat WhatsApp nel processo penale: la recente giurisprudenza La recente evoluzione della tecnologia ha introdotto nuovi strumenti di comunicazione come ad esempio le conversazioni in forma digitale attuate attraverso l’utilizzo di applicazioni istallate su smathphone e computer, nel cui ambito sta spopolando la nota a tutti Whatsapp. Di qui l’esigenza di inquadrare l’ambito giuridico di quello che si può definire come nuovo fenomeno comunicativo soprattutto in termini di utilizzabilità processuale. Intanto è bene ricordare che WhatsApp Messenger è un’applicazione multi-piattaforma, creata nel 2009, che consente l’invio istantaneo di messaggi di testo, foto, video, documenti e registrazioni vocali ad altri utenti via Internet, utilizzando come identificativo il proprio numero di telefono. L’autenticazione degli utenti su WhatsApp avviene, mediante il loro numero di telefono a cui è associata una password generata automaticamente dal sistema. Dal 6 aprile 2016 il gestore di WhatsApp, per garantire la tutela della privacy degli utenti, ha attivato di default un sistema denominato “crittografia end-to-end”. Con questo sistema i messaggi sono gestiti dal server di WhatsApp in forma cifrata e il loro contenuto può essere letto esclusivamente dai mittenti e destinatari. Le conversazioni intrattenute con WhatsApp e non cancellate restano però nella memoria dello smartphone e possono essere legittimamente utilizzate e introdotte nel coacervo probatorio del processo penale. La chat come prova documentale È appena il caso di ricordare che la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che le conversazioni intrattenute attraverso l’utilizzo di strumenti informatici costituiscono una forma di memorizzazione di un fatto storico comparabile ad una prova documentale e, pertanto, utilizzabile ai fini probatori (Cass. pen. sez. V, sentenza 6 gennaio 2018 n. 1822). Infatti, il concetto di prova documentale, così come disciplinato dall’art. 234 c.p.p., consente di ricomprendere ogni scritto o altro documento in grado di rappresentare fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. Va da sè che i documenti si caratterizzano per essere prove precostituite ovvero formate fuori dal processo che, per avere efficacia probatoria, devono essere introdotti su richiesta di parte, e ammessi dal Giudice se pertinenti e rilevanti, o semplicemente prodotte/acquisite in fase di indagini. L’acquisizione della prova per via documentale La ragione della necessità di acquisire per via documentale la conversazione WhatsApp risiede nell’impossibilità, o quantomeno nella particolare complessità procedurale, di intercettare o ottenere dal gestore dell’applicazione lo storico delle conversazioni a causa del sistema di crittografia “end to end” di cui si è detto poc’anzi. L’unica alternativa per introdurre processualmente i messaggi, le foto e i files scambiati dagli utenti è quindi quella di prelevarli dai dispositivi su cui sono stati salvati. Le forme più comuni per produrre in Giudizio le conversazioni WhatsApp sono: lo screenshot, la semplice trascrizione del testo, il dispositivo su cui è memorizzata la chat o la sua copia forense, e l’autenticazione di una copia conforme da parte di un notaio o di un pubblico ufficiale. Lo screenshot non è nient’altro che l’istantanea dello schermo di un dispositivo mobile o di un computer che può essere salvata in un file o stampata su carta. In alternativa è possibile produrre la trascrizione della conversazione utilizzando l’opzione “esporta chat” offerta dall’applicazione che permette di inviare il contenuto ed eventuali file media (foto, video …) come allegato di posta elettronica nel formato .zip. È evidente che le due modalità appena descritte, essendo una mera riproduzione del contenuto archiviato su un dispositivo elettronico, sono facilmente alterabili e per questa ragione poco attendibili anche se, come ogni altra prova introdotta nel processo penale, liberamente valutabile dal Giudice. Sul punto la Suprema Corte, con sentenza n. 49016 del 25 ottobre 2017, ha precisato come la trascrizione della chat WhatsApp costituisca una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di prova documentale ai sensi dell’art. 234 c.p.p. ma l’utilizzabilità della stessa è condizionata dall’acquisizione del supporto (telematico o figurativo) contenente la menzionata registrazione, svolgendo la relativa trascrizione una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale (Cass. pen. sez. II, n. 50986 del 6 ottobre 2016; Cass. pen. sez. V, n. 4287 del 29 settembre 2015). In ultima analisi, per fugare ogni dubbio circa la genuinità della trascrizione e dello screenshot, è opportuno accompagnare alla conversazione il dispositivo (smartphone, tablet, computer) che la contiene. Va da sé che ciò significa privarsi del dispositivo contenente i messaggi WhatsApp che si intende introdurre nel procedimento, cosa che nella gran parte dei casi può risultare quantomeno disagevole. La copia forense Esiste comunque una diversa modalità con la quale il contenuto della chat può fare ingresso nel processo ed è rappresentata dalla c.d. “copia forense”. L’acquisizione (rectius copiatura) di un dato digitale da qualsiasi dispositivo elettronico è regolata dalla Legge 18 marzo 2008 n. 48, emanata in attuazione della ratifica della Convenzione di Budapest del 2001. Per “copia forense” (o copia bit-a-bit) si intende l’esatta duplicazione dei dati digitali presenti in un dispositivo, senza perdita di dati nella destinazione e senza alterazione di dati nella sorgente. In altri termini, con la copia forense si genera un clone identico all’originale destinato a diventare una prova in ambito giudiziario. Al riguardo vale la pena ricordare un recente principio di diritto coniato dalla Cass. pen. sez. III, n. 37419 del 5 luglio 2012 con cui è stato precisato che i dati di carattere informatico contenuti in un computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano tra le prove documentali e l’estrazione dei dati è un’operazione meramente meccanica, che non deve essere assistita da particolari garanzie. Quanto invece all’acquisizione operata dalla PG durante la fase delle indagini, gli Ermellini della V Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 8736 del 22 febbraio 2018, hanno precisato che l’estrazione di dati archiviati in un supporto informatico non costituisce accertamento tecnico irripetibile anche dopo l’entrata in vigore della L. 18 marzo 2008 n. 48, che ha introdotto unicamente l’obbligo per la polizia giudiziaria di rispettare determinati protocolli di comportamento, senza prevedere alcuna sanzione processuale in caso di mancata loro adozione, potendone derivare, invece, eventualmente, effetti sull’attendibilità della prova rappresentata dall’accertamento eseguito. Ad ogni buon conto, oltre al deposito della copia forense, è sempre opportuno che un consulente, designato dalla parte, effettui anche un accertamento tecnico-informatico sul dispositivo contenente la conversazione WhatsApp da acquisire, al fine di attestare la genuinità del flusso dei dati in questione o, al contrario, far emergere eventuali manomissioni. La copia conforme ed autenticata L’ultima modalità di acquisizione della messaggistica WhatsApp, sempre attraverso il mezzo della prova documentale, potrebbe essere costituita dalla copia conforme ed autenticata da parte di un notaio o di un altro pubblico ufficiale. Teoricamente, una volta reperito il documento informatico originale, il pubblico ufficiale, così come per le pagine web, estrae una copia esatta e ne certifica l’autenticità. In questo caso l’uso del condizionale è d’obbligo, considerato che sono ancora allo studio della stessa associazione Notarile le modalità e la liceità della certificazione in argomento. Sul tema sono interessanti gli spunti teorici offerti da un recente articolo comparso su Federnotizie (rivista curata dall’associazione sindacale notarile) in cui è stato evidenziato come sia molto semplice inviare messaggi attribuendo al nome del mittente un qualsiasi numero di cellulare appartenente ad un altro soggetto o modificarne il testo; mentre, risulta difficoltoso per il notaio stampare o salvare il messaggio per certificarne una copia conforme. Conclusioni Ad ogni buon conto anche in ambito giurisprudenziale non v’è uniformità di indirizzo su quale sia la modalità più attendibile per rappresentare le conversazioni WhatsApp da acquisire a processo. In ultima analisi rimane sempre fermo il principio secondo cui ogni documento legittimamente acquisito è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice ed ha valore probatorio, a prescindere dal fatto che provenga da un pubblico ufficiale o che sia stato autenticato da un notaio (Cass. pen. sez.. II, n. 52017 del 21 novembre 2014).