CIVILE e PROCESSO
Usucapione
L’usucapione del bene del coniuge dopo l’abbandono
Redatto da Paola Paleari – Fonte: Diritto e Giustizia
In mancanza della prova dell’interversio possessionis, anche il prolungato esercizio del potere di fatto sulla cosa non è utile ai fini dell’usucapione.
Il fatto. L’attrice deduceva in giudizio di aver usucapito l’immobile di proprietà del coniuge per il fatto di avere continuato ad abitare il bene, oltre che svolto opere di manutenzione ordinaria straordinaria, dopo che il marito…
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Il tribunale si pronunciava in favore della moglie ritenendo che dopo l’abbandono della casa familiare del marito, la moglie non poteva più vantare sul bene alcun possesso e che, pur in mancanza di un titolo qualificato, ne aveva acquistato il relativo possesso grazie al disinteresse del proprietario, elemento indicativo del venir meno di quest’ultimo dell’animus possidenti. La Corte d’Appello, tuttavia, riformulava la sentenza e rigettava la domanda di usucapione, accogliendo invece l’istanza di rivendica proposta dal legittimo proprietario, divenuto tale dopo l’atto di alienazione del bene in suo favore da parte dell’ex marito defunto. La Corte di Cassazione, infine, confermava la sentenza di appello. Ragioni della decisione. Secondo la Corte d’Appello, e secondo la Corte di Cassazione poi, ai sensi dell’art. 1141, comma 2, c.c., la moglie avrebbe potuto acquistare il possesso del bene immobile soltanto dimostrando l’interversione del possesso. La Corte d’Appello aveva infatti rilevato che l’iniziale relazione di fatto della moglie con il bene integrava una detenzione qualificata fondata sul rapporto di coniugio con il proprietario e possessore. La moglie avrebbe quindi dovuto acquistare il possesso fornendo la prova dell’interversione, ovvero dimostrando che, successivamente all’allontanamento del coniuge dalla casa, e per effetto di uno dei fatti previsti dall’articolo 1141, comma 2, c.c., aveva iniziato ad avere il godimento del bene uti dominos. Da ciò ne consegue che, anche se questa abbia dimostrato l’esecuzione di lavori di manutenzione, ordinari o straordinari che siano, essi non offrono di per sé alcun elemento per ritenere che la moglie abbia manifestato nei confronti del coniuge la volontà di tenere la cosa come propria, escludendolo dal possesso.
In definitiva ne consegue che, in mancanza della prova dell’interversione del possesso, anche il prolungato esercizio del potere di fatto sul bene non è utile ai fini dell’usucapione. Inoltre, la rinuncia al possesso da parte del proprietario, nonostante il disinteresse mostrato, non può essere presunta, ma deve risultare da un’univoca manifestazione di volontà abdicativa, sicché la semplice astensione dall’esercizio del possesso non è sufficiente a determinarne la perdita potendo il possesso essere conservato solo animo. Tutto quanto premesso l’interversione nel possesso non può quindi avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente animus detinendi dell’animus rem sibi habendi; tale manifestazione deve quindi essere rivolta specificatamente contro il possessore in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e, quindi, tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua.