
All’omessa dichiarazione dei beni pignorabili richiesta dall’ufficiale giudiziario segue una sanzione penale
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10 Novembre 2019PENALE e PROCESSO
Stalking
Telefonate a ripetizione e post diffamatori online ai danni di una donna: condannato
Definitiva la condanna per un uomo, punito con dieci mesi di reclusione e obbligato a versare per ora 5mila euro a titolo di provvisionale alla sua vittima. Decisivi i racconti della donna, da cui sono emersi i comportamenti deprecabili tenuti dall’uomo e le ripercussioni da lei subite, anche in ambito lavorativo.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 28466/19; depositata il 5 novembre)
‘Bombardamento’ telefonico e persecuzione online sui social network. Legittimo parlare di stalking per ciò che una donna – assieme ai familiari e alle persone care – ha dovuto subire per anni ad opera di un uomo. Significativo…
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(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 44895/19; depositata il 5 novembre) Così la Cassazione con sentenza n. 44895/19 depositata il 5 novembre. Il caso. La Corte d’Appello confermava la decisione del Giudice di merito che, al termine del giudizio abbreviato, dichiarava la penale responsabilità dell’imputato per non aver risposto all’invito dell’ufficiale giudiziario a presentarsi presso l’UNEP, nel termine di 15 giorni, per indicare gli ulteriori beni pignorabili. L’imputato ricorre per cassazione affermando che, poiché oggetto della dichiarazione erano esclusivamente i beni pignorabili, essendone privo, non era obbligato a farla, in quanto ai fini dell’esecuzione essa non avrebbe avuto alcuna utilità. L’intento del legislatore in tema di riforma delle esecuzioni immobiliari. La Corte di Cassazione, nell’affermare che sul debitore gravava l’obbligo di fornire una risposta, rileva che in base al combinato disposto degli artt. 388, comma 6, c.p., e 492, comma 4, c.p.c., all’omessa dichiarazione del debitore – o amministratore, direttore generale, liquidatore della società debitrice – dei beni ulteriormente pignorabili, nel termine di 15 giorni dall’invito dell’ufficiale giudiziario, segue una sanzione penale. Cosa che non accade nei casi di dichiarazione negativa, dove l’ufficiale giudiziario, su richiesta del creditore procedente, può consentire l’attivazione delle ricerche sulle banche dati di cui all’art. 492, comma 7, c.p.c..Da tale quadro normativo, afferma la Corte, si evince l’intento del legislatore «di evitare inutili e dannosi ritardi nell’individuazione dei beni assoggettabili alla pretesa del creditore» e «di favorire una concorsualizzazione della procedura di esecuzione forzata nel tentativo di assumere informazioni sulla consistenza del patrimonio del debitore». Inoltre, prosegue il Collegio, la ratio dell’intervento legislativo, effettuato con la riforma delle esecuzioni immobiliari di cui alla l. n. 52/2006, è quella di consentire all’ufficiale giudiziario di ricostruire nel modo più possibile completo il patrimonio del debitore, tutelando l’interesse del creditore all’effettività della procedura esecutiva, imponendo all’esecutato un vero e proprio obbligo di collaborazione.Omessa dichiarazione dei beni pignorabili e sanzione penale. La Suprema Corte conclude affermando che la norma incriminatrice non richiede che il creditore procedente abbia effettivamente subito un danno, ma si limita a predisporre strumenti di preventiva tutela della sua pretesa e che, dunque, il legislatore abbia voluto intendere tale fattispecie come reato di pericolo.Pertanto, «la dichiarazione resa dal debitore, pur non legata a particolari vincoli formali, deve fornire un’adeguata informativa all’ufficiale giudiziario procedente e deve considerarsi omessa non solo quando manchi del tutto allo scadere del termine espressamente stabilito dalla legge, ma anche nell’ipotesi in cui non contenga elementi utili a consentire l’esatta identificazione degli ulteriori beni pignorabili, risultando così inidonea a determinare l’effetto dell’immediata apposizione del vincolo con le forme previste dall’art. 492 c.p.c., ossia quando non vengono indicati con certezza i beni pignorabili, la loro ubicazione, ovvero il terso debitore con modalità idonee a consentire al creditore di procedere ai successivi adempimenti ex art. 543 c.p.c.». La caratteristica principale di chi soffre di ansia di separazione è quella di provare paura e ansia eccessiva per l’allontanamento da casa o dalle figure di attaccamento. Tale tipo di ansia può manifestarsi sia nei bambini che negli adulti. A seconda dell’età, le persone possono sviluppare paure degli animali, dei mostri, del buio, dei rapinatori, degli incidenti automobilistici, dei viaggi aerei, di catastrofi più o meno definite e di altre situazioni che sono percepite come pericolose per la famiglia o per se stessi. L’accentuarsi di queste paure, produce un attaccamento morboso con le figure di riferimento. Nella maggior parte dei casi, una persona può avere un’ansia di separazione transitoria, circoscritta in un tempo relativamente breve e connessa a particolari circostanze. Le conseguenze di quest’ansia transitoria non hanno significativi effetti sulla vita quotidiana e sulle varie attività. Nel momento in cui, l’ansia di separazione è persistente nel tempo (orientativamente 4 settimane nei bambini e adolescenti, 6 mesi negli adulti) e genera compromissioni significative in ambito sociale, scolastico, lavorativo o in altre aree importanti, allora si può parlare di un vero e proprio disturbo d’ansia di separazione. Tale disturbo è individuato e descritto nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – Quinta Edizione (DSM-5), e si trova all’interno della classe dei disturbi d’ansia. I bambini con questo disturbo possono essere descritti come bisognosi di attenzione costante, mentre gli adulti come dipendenti e iperprotettivi. I bambini possono manifestare il disturbo cercando in tutti i modi di evitare di andare a scuola; possono mostrare paure specifiche di pericoli per i genitori e per se stessi; l’ansia si manifesta specialmente quando viene vissuta la separazione. Gli adulti con questo disturbo sono tipicamente preoccupatissimi per i propri genitori, i coniugi e i figli e provano notevole malessere quando sono separati da loro; questo stato d’ansia può generare problemi sia a livello lavorativo che sociale proprio a causa del bisogno di controllare continuamente dove si trovano le persone significative. Gli studi clinici hanno dimostrato che chi soffre di un disturbo d’ansia di separazione può aver vissuto un evento stressante (per esempio la morte di un parente, una malattia dell’individuo o di un parente, un cambio di scuola, un trasloco in altro contesto, un evento catastrofico, ecc..), o avere delle figure di riferimento, come i genitori, iperprotettivi e intrusivi. Non è raro che tale disturbo si presenti assieme ad altri disturbi d’ansia, come il disturbo di panico, il disturbo di ansia generalizzata, il disturbo d’ansia sociale. L’intervento psicologico di tipo comportamentale e sistemico familiare può risultare utile alla remissione di tale disturbo. Di seguito sono elencati i criteri diagnostici del DSM-5: Criteri diagnostici A. Paura o ansia eccessiva e inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo che riguarda la separazione da coloro a cui l’individuo è attaccato, come evidenziato da tre (o più) dei seguenti criteri: 1. Ricorrente ed eccessivo disagio quando si prevede o si sperimenta la separazione da casa o dalle principali figure di attaccamento. 2. Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo la perdita delle figure di attaccamento, o alla possibilità che accada loro qualcosa di dannoso, come malattie, ferite, catastrofi o morte. 3. Persistente ed eccessiva preoccupazione riguardo al fatto che un evento imprevisto comporti separazione dalla principale figura di attaccamento (per es., perdersi, essere rapito/a, avere un incidente, ammalarsi). 4. Persistente riluttanza o rifiuto di uscire di casa per andare a scuola, al lavoro o altrove per paura della separazione.5. Persistente ed eccessiva paura di, o riluttanza a, stare da soli o senza le principali figure di attaccamento a casa o in altri ambienti. 6. Persistente riluttanza o rifiuto di dormire fuori casa o di andare a dormire senza avere vicino una delle principali figure di attaccamento. 7. Ripetuti incubi che implicano il tema della separazione. 8. Ripetute lamentele di sintomi fisici (per es., mal di testa, dolori di stomaco, nausea, vomito) quando si verifica o si prevede la separazione dalle principali figure di attaccamento. B. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti, con una durata di almeno 4 settimane nei bambini e adolescenti, e tipicamente 6 mesi o più negli adulti. C. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. D. Il disturbo non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale. P.S. L’intento di questo articolo come del resto di tutti gli altri, è quello di fare conoscere e/o approfondire argomenti di varia natura. Queste informazioni hanno soltanto uno scopo illustrativo e non sono utili per fare auto-diagnosi. Molte altre informazioni su questo tema, come su altri, sono volutamente omesse perché specifiche di una analisi dettagliata che possono attuare soltanto i professionisti del settore.