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Amministratore Di Condominio
Quando è ammessa l’impugnazione del decreto di nomina dell’amministratore giudiziario di condominio?
Si ritiene ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti emanati in materia di volontaria giurisdizione qualora la pronuncia impugnata contenga una statuizione di condanna alle spese delle fasi del giudizio.
(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 28466/19; depositata il 5 novembre)
Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 28466/19, depositata il 5 novembre. I fatti. Il ricorrente chiedeva al Tribunale di provvedere alla nomina di amministratore di un condominio allegando di essere titolare della maggioranza…
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Si ritiene ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso i provvedimenti emanati in materia di volontaria giurisdizione qualora la pronuncia impugnata contenga una statuizione di condanna alle spese delle fasi del giudizio. (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 28466/19; depositata il 5 novembre) Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza n. 28466/19, depositata il 5 novembre. I fatti. Il ricorrente chiedeva al Tribunale di provvedere alla nomina di amministratore di un condominio allegando di essere titolare della maggioranza dei millesimi di proprietà e che nelle ultime assemblee non era stato possibile pervenire alla nomina di un amministratore per mancanza del numero legale. Nel frattempo, il Tribunale, dopo aver chiesto a questi di provvedere alla convocazione in giudizio degli altri partecipanti al condominio nominava un amministratore giudiziario, che convocava l’assemblea e poneva all’ordine del giorno la nomina di un amministratore scelto dai condomini. Non giungendo ad una decisione, l’amministratore giudiziario chiedeva di essere sollevato dall’incarico. uccessivamente si costituivano in giudizio gli altri partecipanti al condominio e il Tribunale condannava il ricorrente a rifondere alle parti le spese del grado di giudizio. Anche la Corte d’Appello condannava il ricorrente alle spese del secondo grado, pertanto quest’ultimo giunge dinanzi alla Suprema Corte. L’impugnazione ex art. 111 Cost.. Occorre sottolineare che l’impugnazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso il provvedimento con cui la Corte territoriale decide sul reclamo contro il decreto di nomina di un amministratore giudiziario del condominio è ammessa qualora si censuri la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del processo, in quanto in tale situazione rilevano posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame è stata adottata la decisione, che è dotata delle caratteristiche tipiche della decisione giurisdizionale con attitudine al passaggio in giudicato indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede. Nel caso di specie, avendo sia il Tribunale che la Corte di secondo grado statuito anche sulle spese, il ricorso per cassazione è ammissibile. I Giudici di legittimità, dunque, in accoglimento del ricorso, dispongono che, pur essendo inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso provvedimenti emanati in materia di volontaria giurisdizione, vista l’assenza del contenuto decisorio in capo ad essi, si ritiene invece ammissibile tale gravame qualora la pronuncia impugnata, nonostante verta in materia di volontaria giurisdizione, contenga una statuizione di condanna alle spese giudiziali o la condanna sanzionatoria di cui all’art. 96, ultimo comma, c.p.c.: in tali casi, «deve essere ammessa anche la proposizione di censure non strettamente inerenti le statuizioni di condanna, bensì il procedimento logico-argomentativo e la successione logica e causale che ha condotto il giudice del merito a dette statuizioni». In seguito alla modifica dell’importo dell’assegno di mantenimento, se l’obbligato non ha ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non possono più essere richieste. Questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione, sez. VI civile, con l’ordinanza 16 settembre 2019, n. 3024 (testo in calce). Sommario Il caso La decisione della Cassazione Sulla decorrenza dell’assegno di mantenimento Il caso Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, il tribunale aveva disposto in via definitiva il mantenimento per la moglie quantificandolo nella misura di euro 450, in riduzione dell’importo disposto in via provvisoria di euro 750. La decorrenza della corresponsione del nuovo importo era stata fissata al mese successivo al deposito della domanda introduttiva. Anche la Corte d’appello confermava la decisione. La donna ricorre in Cassazione. Secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe erroneamente disposto la riduzione della somma, nonostante la stessa fosse priva di reddito e le fosse stata revocata l’assegnazione della casa familiare. Il secondo motivo di ricorso riguarda la decorrenza della riduzione dell’assegno di mantenimento, fatta retroagire alla data della domanda, e non della sentenza. Il provvedimento avrebbe violato il principio secondo cui le somme corrisposte a detto titolo devono considerarsi irripetibili per la loro natura alimentare. Il nuovo quantum dell’assegno di divorzio Quanto ai presupposti della riduzione dell’assegno quantificato in via provvisoria, la Corte rileva che nel corso dell’istruttoria, anche all’esito delle investigazioni della polizia tributaria, era emerso che la moglie avesse potenziali capacità di guadagno. Sul punto della retroattività della statuizione giudiziale, la Corte precisa che i due opposti principi della normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda, con il principio d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle somme corrisposte a titolo di mantenimento, che hanno natura alimentare, devono essere contemperati sulla base di una considerazione di fatto. Se il soggetto obbligato non ha ancora corrisposto le somme dovute – come nel caso in esame – per tutti i periodi precedenti, tali prestazioni non possono più essere richieste, in forza del provvedimento che modifica l’importo dell’assegno (in questo caso la sentenza definitiva). Al contrario, la parte che ha già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione, non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsiasi ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo. Il ricorso della donna è stato dunque respinto. Sulla decorrenza dell’assegno di mantenimento Sul tema della decorrenza dell’assegno di mantenimento e dell’eventuale restituzione delle somme percepite dal coniuge per se o per i figli, la giurisprudenza maggioritaria sostiene l’irripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento. In senso contrario – con la sentenza n. 11489 del 23 maggio 2014 – la Cassazione ha confermato la decisione del giudice di appello di consentire la ripetizione delle somme versate dal padre per i figli divenuti maggiorenni, dal momento in cui è stato revocato il provvedimento giudiziale che lo disponeva, per il raggiungimento della loro indipendenza economica. Svolgimento del processo1. Con il ricorso in atti D.F. impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Lecce ha confermato la misura dell’assegno di mantenimento disposto a suo favore a carico del coniuge F.A. all’esito del giudizio di separazione in primo grado -che ne aveva ridotto l’ammontare da 750 Euro statuiti provvisoriamente a 450 EUR determinati in via definitiva -fissandone la decorrenza dal primo mese successivo al deposito della domanda introduttiva e ne chiede la cassazione sul rilievo 1) dell’omesso esame di un fatto decisivo, essendo l’impugnato pronunciamento affetto da contraddittorietà dal momento che la Corte d’Appello pur affermando che la D. non percepisse alcun reddito, aveva tuttavia confermato la riduzione dell’assegno disposta in primo grado senza nel contempo considerare, oltre alle risultanze degli accertamenti di polizia tributaria, evidenzianti appunto la detta circostanza reddituale, l’entità della pensione percepita dal coniuge e la revoca dell’assegnazione della casa coniugale; 2) della violazione e falsa applicazione di norme di diritto in materia di decorrenza della riduzione dell’assegno fatta retroagire dalla domanda, quantunque le somme corrisposte a detto titolo siano irripetibili; 3) della violazione e falsa applicazione di norme di diritto per aver ritenuto nuova e quindi inammissibile la domanda intesa al ristoro del danno morale sofferto a seguito della disgregazione del matrimonio e della separazione, quantunque nelle 3conclusioni della comparsa di costituzione in primo grado si fosse chiesta la condanna dei danni patiti a causa del comportamento illecito ed offensivo del coniuge; 4) della violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per aver violato il principio del prudente apprezzamento nel vagliare le risultanze probatorie.Al proposto ricorso resiste l’intimato con controricorso.Memorie di entrambe le parti ex art. 380-bis c.p.c. Motivi della decisione2. Il primo motivo è infondato laddove deduce -pur se non individuandone correttamente il parametro di riferimento, giacchè detto vizio avrebbe dovuto essere dedotto, giusta SS.UU. 8053 e 8054 del 2014, in guisa di violazione di legge -un vizio di contraddittorietà della motivazione, giacchè la Corte d’Appello, pur rilevando la detta condizione aredittuale in capo alla ricorrente, non ha disposto la revoca dell’assegno, ma ne ha confermato la misura nei limiti che già il Tribunale, dando atto degli esiti delle investigazioni di polizia tributaria, confermati anche a seguito delle ulteriori indagini disposte a chiarimento in sede di appello, aveva giudicato congrui, tenendopresente anche la potenziale capacità di guadagno della ricorrente, e che tali sono stimati anche dal decidente del grado, sicchè il discorso motivazionale non registra quel contrasto tra proposizioni inconciliabili, in cui si risolve il vizio denunciato,ma si sviluppa in modo logico e del tutto coerente; il motivo è viceversa inammissibile laddove evidenzia un vizio di valutazione del materiale probatorio, non costituendo notoriamente fonte di omesso esame di un fatto decisivo l’omesso o carente esame dielementi istruttori.3. Infondato deve pure stimarsi il secondo motivo di ricorso, essendo questa Corte pervenuta a conciliare il principio della normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda con i principi d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle somme corrisposte a titolo di mantenimento, che hanno natura alimentare, sul filo della considerazione “che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, nè può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressitali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione” (Cass., Sez. I, 10/12/2008, n. 28987), di guisa che non è perciò censurabile l’adesione che a detto indirizzo mostra di prestare la decisione in esame, non apparendo, peraltro, significativo a giudizio del collegio il diverso orientamento che questa Corte, pur dichiarando di aderire al precedente di segno contrario dianzi citato, ha altrove ritenuto di enunciare (Cass., Sez. VI-I, 20/07/2015, n. 15186). 44. Inammissibile deve giudicarsi, da ultimo, il terzo motivo di ricorso, poichè, fermo in principio che la pretesa violazione del principio del prudente apprezzamento si rende configurabile solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass., Sez. III, 10/06/2016, n. 11892), la rassegnata doglianza, lungi dall’illustrare in che modo il decidente sarebbe incorso nella pretesa violazione della norma rubricata, si traduce nell’indiretta perorazione a rinnovare in questa sede -e quindi inammissibilmente -l’apprezzamento delle risultanze di fatto a cui ha proceduto il decidente del grado.5. Il ricorso va dunque respinto.6. Spese alla soccombenza.7. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M.Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3200,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.Dispone omettersi in caso di pubblicazione della presente sentenza ogni riferimento ai nominativi e agli altri elementi identificativi delle parti.Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso